Strada Annalisa

Title:OGGETTI SMARRITI
Subject:FICTION Scarica il testo


ANNALISA STRADA

OGGETTI SMARRITI

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Personaggi

Isabella (la protagonista)
Haziza (l’aiutante)
Carla (l’antagonista)
Berto (il mediatore)
Domenica (la tata)
Gualtiero (l’uomo del sotterraneo)
Ermengarda (la suora “cattiva”)
Alina (la sorella maggiore)
Federico (il fratello minore)

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Capitolo 1
Un bell’aspetto fa sempre buona impressione

“Un bell’aspetto fa sempre una buona impressione: capelli puliti, abiti stirati e andamento eretto!”
“Sei la solita noia!”
“Sarà così ma, intanto, vieni qua a pettinarti!”
Domenica brandì il pettine come fosse un’arma e si avventò su Isabella.
Isabella, che aveva previsto tutto, protesse la testa con le mani e sgattaiolò fuori dall’antibagno. Abituata alle fughe repentine della ragazza, la tata non si fece cogliere alla sprovvista e intraprese l’inseguimento con baldanza.
Le loro esclamazioni echeggiavano sui soffitti delle alte stanze.
“Isa, quando fai così, sei insopportabile!” Un leggero affanno iniziava a farsi largo tra una parola e l’altra.
“La mia è solo legittima difesa… Un tentativo, almeno!” ribatté Isabella senza rallentare la fuga, che gestiva con impeccabile strategia, gimkanando tra le sedie, i tavolini, le poltrone, le colonnine di marmo e i grandi vasi di elegante maiolica.
“E io lo faccio solo per il tuo bene…” si lamentò Domenica, che non ebbe il fiato per aggiungere altro.
“Tutti gli aguzzini dicono così!”
La donna, appesantita dagli anni, reggeva abbastanza bene quella difficile prova del mattino, ma solo perché nel tempo si era abituata a inseguire la ragazzina terribile che aveva l’ingrato compito di accudire.
“I tuoi fratelli non mi hanno mai fatto fare tanta fatica!”
“Per forza: stai sempre addosso a me! Non hai tempo per badare a loro…”
“Ho poco tempo per loro… perché tu non mi dai tregua!”
Approfittando dell’occasione per distrarre l’inseguitore, Isabella buttò lì: “A proposito, dove sono gli altri?”
“Chi?” chiese di rimando Domenica, interdetta dall’apparente incongruenza della domanda.
“Ma come, chi?! Alina e Federico!”
“Alina è uscita intanto che cercavo di tirarti giù dal letto. Federico è in camera sua e sta preparando la cartella. Perché lui è già bell’e pronto… anche se deve entrare in classe mezz’ora più tardi di te! …Insomma, piantala di farmi perdere tempo e lasciati pettinare… È una vergogna che non ti occupi da sola dei tuoi capelli!”
“Io, veramente, avrei scelto di non occuparmene. Io voglio i rasta!”
“Fosse per te, non ti occuperesti di niente! E poi di rasta proprio non si parla.” Domenica fece una pausa teatrale prima di minacciare: “Piuttosto ti toso come si fa con le pecore!”
Aggirando la grande stufa tirolese rivestita di piastrelle istoriate, Domenica placcò Isabella con l’abilità e la forza di un giocatore di rugby. Immobilizzandola con un braccio, le diede un’energica pettinata, che rese ancora più vaporosi i fittissimi e strettissimi ricci. In famiglia, Isabella era l’unica con quei capelli da Medusa: tutti ammiravano quei boccoli, a eccezione della legittima proprietaria, che li considerava la più infelice delle capigliature. Le sarebbe piaciuto dimenticare pettine, spazzole ed elastici per coltivare quelle pettinature rasta che invidiava ai ragazzi più grandi. Per di più, si entusiasmava all’idea di essere immortalata così nella galleria di famiglia: chissà come avrebbero arricciato i baffoni gli antenati e chissà come l’avrebbero apprezzata i suoi pronipoti! Altro che acconciature impossibili, rigidi colletti, cornici dorate…

Approfittando del momentaneo vantaggio, Domenica le sistemò la camicia, le raddrizzò la felpa e raccomandò: “Non dimenticare né libri né quaderni, altrimenti li senti poi i prof, che cosa raccontano ai tuoi genitori appena li incontrano.”
“I miei genitori… beato chi li vede! Non si sono più fatti sentire?” E il tono non sembrava di sfida: lo era davvero.
“Ma come?! Chiamano regolarmente un giorno sì e uno no e le ultime tre volte sei stata tu che non hai voluto prendere il ricevitore!” Domenica scosse la testa come per sottolineare l’ingratitudine delle nuove generazioni.
“Grazie tante, non hanno mai niente di interessante da raccontare.” Per sottolineare meglio la sua completa disapprovazione, Isabella fece spallucce. Ma non poté trattenere una leggera smorfia di delusione.
“Tua madre, poveretta, sta assistendo la nonna: che cosa vuoi che ti racconti?!”
“Certo, certo” cantilenò Isabella, “poveretta, e come no… Assiste la nonna sulla Costa Azzurra. Andrei anch’io ad assisterla. Che cosa fa, il passamano delle medicine mettendosi in mezzo tra un’infermiera e una badante? La nonna è più arzilla di me e te messe insieme…” Nonostante la tirata, Isabella non sembrava ancora soddisfatta e decise di completare la panoramica di famiglia: “E, quanto a papà, la prossima volta che se la va a spassare senza nemmeno chiedermi se lo voglio accompagnare, non gli rivolgo più la parola.”
“Isabella” e, nel dirlo, Domenica si appoggiò le mani sui fianchi, con il fare della matrona rassegnata: “Tu hai l’impegno della scuola e quello, lo sai, viene prima di tutto.”
“Tutto viene prima di tutto e tutto, comunque, viene sempre prima di me. Io non ne posso proprio più!”
Domenica alzò gli occhi al cielo e decise di soprassedere. Almeno per il momento. Sicura che Isabella potesse ormai cavarsela anche senza sorveglianza, si allontanò solo di pochi passi prima di urlare a squarciagola: “Federicooo! Hai fatto colazione? Guarda che si sta facendo tardi!”
Felice del nuovo impegno della tata, Isabella si piazzò davanti a una specchiera dorata. Guardò la sua faccia resa ondulata dallo specchio antico e, senza far caso alle macchie scure che il riflesso disegnava sulla sua immagine, si spettinò ad arte. L’effetto che preferiva era quello del ciclista senza casco, cioè una corona di capelli sparsi e ribelli.
Tolse il giubbotto dall’attaccapanni e si mise lo zaino in spalla. Quatta quatta, sperando che Domenica si dimenticasse di darle un’ultima occhiata, imboccò lo scalone, scese nel portico scaldato dai primi raggi del sole. Si trovò davanti al portone giusto in tempo per sentire lo scoppio della voce della tata che, evidentemente, aveva trovato qualcos’altro che non era di suo gradimento: “Federico! Non lasciare in giro le puntine da disegno! Quante volte te lo devo ripetere?! È la quarta che mi si infila nella ciabatta questa mattina! E questa che cos’èèèèè?!”
“Da grande starò da sola in un monolocale” si ripromise Isabella, che aprì di slancio la portina del passaggio pedonale per non sentire altro e per non correre il rischio di essere richiamata indietro.
Mise piede sulla strada e quasi si scontrò con una ragazzina mingherlina, con i capelli raccolti in mille treccine e un ampio pastrano dalla fantasia vivace. L’insieme era quello di una testa allegra.
Senza salutarsi, si affiancarono e procedettero a passo di marcia. Haziza era la migliore amica di Isabella. Erano così perfettamente sincronizzate che tutte le mattine si trovavano nella stessa maniera, con la precisione di due incrociatori di vedetta. Isabella sbuffava, Haziza scuoteva la testa… era già un riassunto di quanto era successo pochi minuti prima nelle loro abitazioni.
Avevano poco in comune, anzi era come guardare il positivo e il negativo di uno scatto fotografico: intenzioni, colori e misure erano complementari e opposti.

Isabella era quella che qualsiasi suo amico avrebbe definito “una cara ragazza, anche se un po’ strana”. Gli amici dei suoi genitori erano soliti parlarne come di “una ragazzina con grandissime qualità, ma un carattere… chiuso, scontroso, con grandi sprazzi di sorrisi.” I suoi professori la trovavano una specie di rompicapo: “uno di quegli studenti che, quando ti capitano, passi il loro corso di studio a domandarti quando mai ne troverai un altro altrettanto dotato. Ma poi, in tutta la vita di un insegnante, di così distratti e cocciuti ne capitano solo un paio”. Mentre i fratelli preferivano tacerne, la madre riassumeva tutto in una frase che ripeteva con una certa frequenza: “la sua straordinaria intelligenza si impiglia in un caratteraccio che non c’è verso di ammorbidire. Sarà un genio. Oppure la mia disperazione.”
Insomma, Isabella non era un tipo da lasciare indifferenti: i suoi grandiosi pregi erano equilibrati da altrettanto grandiosi difetti. Tra questi ultimi, uno dei più evidenti era una certa mania di parlare di se stessa.
Sua sorella maggiore, Alina, non era avara di battute in proposito: “Se il tuo ego si espandesse oltre, dovresti andare in giro con un trasporto eccezionale.”
Suo fratello minore, Federico, la provocava: “Quando parlano di qualcuno che non sei tu, le tue orecchie smettono di funzionare. Invece la tua bocca, purtroppo, è sempre in azione…”
I compagni di classe la chiamavano “Isabella io” perché sembrava che non conoscesse nessun altro pronome.
Quando le dicevano queste e altre cose dello stesso tenore, Isabella nemmeno si dava la pena di rispondere. La cosa, in fondo non la riguardava: “Se per loro sono un problema, il problema è loro, non mio.”
Affinché, in proposito, non si facesse confusione, adorava scrivere ogni anno, sul suo diario nuovo: “Isabella e basta”. Era anche la scritta che campeggiava sul salvaschermo del suo PC e che appariva sulla copertina dei quaderni, sui margini dei libri, sui bordi dei dizionari e persino sul banco. L’“e ...