BREZZA

Title:BIAGIO E LE CICALE CANTERINE
Subject:ITALIAN FICTION Scarica il testo


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BIAGIO E LE CICALE CANTERINE



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C'era una volta, in un paese chiamato Buonriposo, un re, di nome Beatosonno, che dormiva soltanto se cantavano le cicale. E infatti d'estate, quando le cicale riempivano di musica il regno, il re faceva lunghe dormite sotto gli alberi del parco della sua reggia o nel primo posto che gli capitava.
Ma, finita l'estate, le cicale non cantavano più e con l'autunno cominciavano i problemi perché il re, che non riusciva più a chiudere occhio, se la prendeva con i sudditi, i quali, poveracci, di quella storia non ne potevano proprio più.

Per fortuna un buonuomo di nome Biagio si offrì di procurare al re le cicale necessarie a conciliargli il sonno e il re gli promise che, se ci fosse riuscito, l'avrebbe ricoperto di oro e di regali. Così Biagio partì verso la foresta degli alberi sempreverdi, dove l'estate non finisce mai. Con sé portava solo una rete sottile e delicata, perché le cicale sono animali piccoli e delicati.
Cammina cammina, Biagio pensava che con la ricompensa promessagli dal re avrebbe potuto comprare un bel regalo per la moglie e un paio di scarpe per il suo bimbo, che ora andava scalzo e si pungeva i piedi con le spine dei rovi. Era tanto preso dai suoi pensieri che non si accorse di un formicaio, dove mise un piede. Le formiche rosse si aggrapparono alla sua scarpa e cominciarono a rosicchiare. Quando ebbero mangiato metà scarpa addentarono il piede del povero Biagio.
- Ahi ahi ahi - si lamentò - chi mi mangia il piede?
Si accorse solo allora che mezza scarpa era stata mangiata dalle formiche rosse, che ora gli mordevano il piede, e saltò prontamente dentro una pozzanghera. Le formiche mollarono scarpa e piede e, per non affogare, nuotarono velocemente fuori dall'acqua.
Biagio continuò per la sua strada e giunse a un campo coltivato a melanzane.
Aveva fame e, senza perdere tempo, ne raccolse e addentò una. Qualcosa lo colpì in testa.
Ahi ahi ahi, pensò, il padrone dell'orto mi bastona perché ho preso un frutto senza chiederlo. Si guardò indietro per domandare perdono, ma non vide nessuno.
Urtò però contro i rami di un albero carico di pere e capì che, una di queste, cadendo dall'albero, l'aveva colpito proprio in mezzo alla zucca. Sollevò la testa per ringraziare il cielo per la fortuna e, proprio in quel momento, un'altra pera si staccò dall'albero e gli finì dritta in bocca.
- Ah, proprio buona - disse Biagio, ormai rassicurato che non ci fosse il padrone dell'orto.
Riprese il cammino verso la foresta degli alberi sempreverdi e finì di mangiare la pera proprio mentre entrava in un orto di meloni. Era la prima volta che li vedeva.
Che strane cose gialle e verdi, pensò. Devono essere uova. Ne prendo una e la porto al mio bimbo. Sono sicuro che da quest'uovo nascerà un pollo più grande di un'aquila e di un bue, e tutti mi invidieranno.
Con il melone in una mano e la rete nell'altra, Biagio arrivò al fiume, che bisognava superare per arrivare alla foresta. Le grandi piogge avevano però trascinato via il ponte e quindi bisognava attraversare il fiume a nuoto. Biagio però non sapeva nuotare.
Vide un ippopotamo immergersi nell'acqua e, senza pensarci sopra, gli salì in groppa pensando che l'avrebbe portato all'altra riva. Ma l'ippopotamo, arrivato in mezzo al fiume, si fermò e si mise a dormire.
- Svegliati, stupido - gli disse Biagio, ma l'ippopotamo non si mosse. - Oh, santo cielo protettore dei cacciatori di cicale - pregò Biagio - aiutami tu ad arrivare a riva.
Così si buttò in acqua ma, non sapendo nuotare, camminò sul letto del fiume a occhi chiusi e si ritrovò nel punto da cui era partito. Disperato per l'accaduto e tuttavia desideroso di mantenere fede agli impegni presi con il re, Biagio decise di risalire il fiume fino alla sorgente, scendendo poi dall'altra riva.
Il tempo passava, e Biagio sentì fame. Nel fiume c'erano grossi pesci e, con la rete, ne pescò uno. Ne prenderò un secondo, si disse Biagio, poi riprenderò la mia strada. Ma alle spalle di Biagio apparve un orso grande e grosso. Agli orsi, si sa, piacciono i pesci, e il bestione si avvicinò. Biagio indietreggiò per lo spavento e si ritrovò in mezzo al fiume, trascinato dalla corrente. A un certo punto sbatté contro un ostacolo.
Devo essere giunto a riva, pensò. Invece aveva urtato contro l'ippopotamo che, al colpo, si era svegliato. Il bestione gli ruggì come fosse un leone e Biagio, senza saperlo, si ritrovò fuori dal fiume, sulla riva dove da un pezzo cercava di arrivare.
- Finalmente - esclamò, e in un attimo dimenticò tutte le sue disavventure.
Camminò spedito, con la rete e il melone, e in breve arrivò alla meta, alla foresta degli alberi sempreverdi. L'aria era tiepida, gli uccellini cantavano e dai rami degli alberi pendevano fiori e frutti. Le cicale cantavano e il loro coro risuonava per l'intera foresta.
Biagio, in pochi istanti, ne riempì la rete e la portò al re, il quale ne fu felice e gli fece grossi regali, che Biagio portò alla moglie. Cammin facendo, comprò anche le scarpe per il suo bimbo.
Il re Beatosonno si addormentò subito, dormì per molte ore e si svegliò senza il solito mal di testa. Però... però le cicale non cantavano più. Il re ordinò alle guardie di portargli subito Biagio.
- Le cicale non cantano - gli disse. - Che storia è questa?
Biagio guardò le cicale e si meravigliò di quel che vide: erano tutte schierate in fila, dinanzi a una cicala più grossa, che doveva essere il loro comandante.
- Forse hanno fame - suggerì.
Il re fece portare carne e pesce arrosto, frutta e insalata, ma le cicale non vollero neanche sentirne l'odore. La cicala più grande guardò con sdegno il re e mormorò qualcosa. Biagio non conosceva la lingua delle cicale, ma riuscì a capire.
- Il re delle cicale - spiegò al re Beatosonno - chiede la libertà per sé e per i propri sudditi. Dice che quando uno è prigioniero è triste e per questo motivo non è in grado di cantare.
- Digli che non posso - rispose il re - altrimenti, per mancanza di sonno, io morirò.
Allora le cicale cantarono in coro, ma il loro verso fu così acuto che sembrò un grido di aiuto. Un istante dopo due aquile grandi come due mucche entrarono dalla finestra. Una sollevò la rete delle cicale, l'altra il re, e volarono, volarono sopra le nuvole, verso la foresta degli alberi sempreverdi. Il re e le cicale furono posati per terra, e le cicale, liberate, ripresero a cantare.
- Ah, che beatitudine - esclamò il re finalmente felice - questa sì che è vita!

Il re Beatosonno decise di vivere per sempre in quella foresta e i suoi sudditi, quando lo seppero, apprezzarono molto quella decisione e, per evitare che al loro re venisse la voglia di tornare, gli portarono ogni giorno carne e pesce arrosto e insalata già condita.
Da allora il re visse felice e contento. E anche i suoi sudditi riuscirono ad avere sonni tranquilli.


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