DELMONACO AMELIA

Title:I MITI DELL'ULSTER (PARTE IV)
Subject:ITALIAN FICTION Scarica il testo


Amelia Delmonaco

I MITI DELL'ULSTER
(Parte IV)



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OISIN, il piccolo cervo- Dal ciclo di Fionn - terza raccolta di miti del "Libro delle invasioni" - Libera rilettura della narratrice.
Finn, il grande re della terra di Tara e del popolo dei Fianna, aveva un figlio, Oisin, detto "Piccolo cervo", per rispetto al padre che era il "Grande cervo". La nascita e il ritrovamento di Oisin da parte del padre, hanno dello straordinario, come straordinaria sarà la sua breve e intensa vita.
In un giorno di caccia della sua gloriosa giovinezza, tornando al castello con i suoi migliori cani, Bran e Skolawn, Finn vide una bellissima cerbiatta che, invece di fuggire, si stese a terra e si mise a giocare con i terribili aguzzini; a questa vista Finn ordinò ai suoi compagni di non farle del male e la portò nella fortezza di Allen ove la rifocillò e le diede riparo. Durante la notte egli si svegliò e vide accanto a sé una splendida fanciulla che così parlò:
- Sono Sava, la cerbiatta. Tre anni or sono il terribile Druido nero, Dark, si innamorò di me e poiché io non volli piegarmi ai suoi desideri, mi trasformò in quella cerbiatta che tu hai visto e accolto sotto il tuo tetto. Hai così infranto l'incantesimo ed io ti sarò riconoscente per tutta la vita.
Inutile dire che Finn non solo l'amò all'istante ma volle farla sua sposa e non si staccò da lei nemmeno per un istante fino a quando dovette partire per proteggere la baia di Dublino dagli sbarchi degli uomini del Nord. Il suo onore e il suo senso del dovere glielo imposero. Egli stette lontano solo sette giorni eppure, quando tornò vittorioso, non trovò più la sua sposa. Gli dissero che un uomo con le sue sembianze si era avvicinato alla porta grande e lei gli era corsa incontro, fuori dalle mura del castello. Quell'uomo l'aveva agguantata e poi era sparito. Passarono i giorni e Finn, dopo i primi momenti di indicibile sconforto, incominciò a cercare la moglie senza sosta per monti e per valli; ispezionò tutti i boschi e le foreste (e all'epoca erano tante) sempre senza esito. Passò del tempo e un giorno, nel folto della boscaglia, vide un bimbo piangente sotto una grande quercia:
- Chi sei?
- Non so. Sono cresciuto con una cerbiatta in una valletta amena dove non c'era né vento, né pioggia, né neve. Tutto ciò che occorreva ci veniva fornito dalla Grande Madre, la terra, e avevamo un bel riparo nella roccia, asciutto e caldo. Sarei stato felice se la cerbiatta non fosse stata spesso importunata da Dark che la faceva piangere ogni volta che veniva e poi, l'ultima volta, la cerbiatta è andata con lui. All'improvviso la valletta è scomparsa ed io mi sono trovato in questo luogo, sotto questo albero e poi siete giunti voi. Chi siete?
- Io sono tuo padre, figlio della cerbiatta e ti chiamerò Oisin.
Tornati alla fortezza, Oisin venne nutrito e vestito come si addice al figlio di un Capo. Il fanciullo cresceva forte e generoso, con una grande curiosità per tutte le leggende e i miti che ascoltava dalla viva voce dei vecchi del suo paese, o cantati in versi sciolti dai Bardi che spesso venivano a Corte ad allietare con le loro storie. Un giorno arrivò alla corte di Finn il Bardo Finnegas, e a lui fu affidata l'istruzione di Oisin il quale lo pregò di parlargli della storia del popolo celtico, delle sue origini e delle sue leggende più antiche. Egli era attratto in particolare dalle straordinarie storie di terre incantate, isole che non ci sono, ma dalle quali provengono esseri soprannaturali, senza età, pressoché immortali, che spesso riescono a sconvolgere la vita pacifica di un villaggio o di un popolo. Oppure dal mondo sotterraneo, abitato da folletti e spiritelli maligni, che non tutti riescono a vedere ma che, per il loro carattere bizzarro e scontroso, possono dare gioia o sventura a una famiglia per poco, molto poco; ma più di tutto amava la storia del Popolo Fatato, i Danann. E il Bardo l'accontentava e trascorreva con lui le lunghe sere d'estate cantando in versi tutta la storia dei loro eroici antenati, delle leggende e degli incantesimi della loro terra.
Oisin ascoltava e nella sua fervida immaginazione, diventava egli stesso l'eroe e il Dio del racconto, gioendo e soffrendo, lottando e amando al dolce suono delle note del Bardo istruttore; ora sapeva perché a volte, nelle fredde sere d'inverno, udiva strani lamenti provenire dalla terra ghiacciata; aveva sempre pensato che fosse la sua sensibilità e la sua paura a dar vita a simili sensazioni sonore; e sapeva pure che le strane storie udite dai vecchi di folletti e maligni abitanti dei boschi erano vere, e non frutto della fervida immaginazione popolare. Finnigas continuò a istruire Oisin, ma non era contento:
quel giovane rampollo del Re era un sognatore. Galoppava con la fantasia, amava le storie della sua gente, ma odiava studiare l'astronomia e la matematica, la Legge e le arti marziali. Egli amava scrivere versi garbati, e lunghi poemi sulle origini della sua stirpe, null'altro. Era un Bardo in tutto e per tutto, un poeta e un fine cantore della storia dei popoli come il suo maestro. Un triste giorno Oisin cercò Finnigas e con voce tremante gli chiese:
- Maestro, esistono le fate?
- Le fate? Non so a chi ti riferisci. Vi sono delle Dee potenti e tremende, come Morrigan, o Medb, che possono trasformarsi in donne di estrema bellezza o in megere orrende, animali, alberi ed altro; alludi forse a costoro?
- Non saprei; ho visto emergere tra le nebbie della palude un viso angelico che poi è svanito all'improvviso, rapito da un banco di nebbia più fitto. E la mia mente è rimasta rapita da quella apparizione e non riesco a distoglierne il pensiero.
- Non sei forse caduto vittima di un incantesimo, di un maleficio? Non accostarti più a quella palude, le acque sono sacre agli Dei, ma a volte infide e ingannatrici. Esistono isole fatate che appaiono e poi scompaiono alla vista, e c'è un paese chiamato Tìr-na-n-Og, il Paese dei Giovani, dove la felicità vale un penny, tanto essa è una condizione comune dei suoi abitanti. Ma anche esso è un inganno perché la sua realtà non si addice alla natura umana, e da lì nessuno è mai tornato.
Ma Oisin tornò ancora alla palude, e vi tornò ancora, e ancora e ogni volta vedeva la stupenda fanciulla. Una volta ella sorrise, gli tese la mano e lo chiamò a lungo, mentre la nebbia la portava lontano.
Oisin continuò a udire il suono magico di quel richiamo per ore e giorni e non riusciva a pensare ad altro. Incominciò a deperire, poi a perdere il ben dell'intelletto: il richiamo di quella fanciulla era profondo come la sua anima e non lasciava spazio ad altro pensiero o ad altra necessità, se non a quella di correre là, alla palude, sperando di vederla. Era estate, una giornata umida e grigia, come spesso accade in quelle terre nordiche distese nel mare; Oisin andò a caccia con il padre alla palude, sulle rive del lago Loch Lena, e ad un tratto vide la Donna della Palude venire verso di loro in groppa ad uno splendido cavallo bianco; sul capo aveva una corona d'oro ed era avvolta in un manto di seta marrone tempestato di stelle d'oro rosso. Ella si accostò a Finn e disse:
- Finalmente ti ho trovato , Finn, figlio di Cumbhal!
- Chi sei tu, donna o figlia del Popolo Fatato?
- Sono Niam dalla Chioma d'Oro. Sono figlia del re della Terra della Giovinezza e sono giunta fin qua perché amo Oisin, tuo figlio.
E poi, rivolta a Oisin:
- Verrai con me, Oisin, nella terra di mio padre?
Ella, guardandolo negli occhi, iniziò un canto dolcissimo che spense la mente e la volontà del figlio di Finn ad ogni altra cosa che non fosse Niam e il suo desiderio di amore.
Così ella cantò:
Avrai cavalli di razza fatata,
avrai cani più veloci del vento;
cento capi ti seguiranno in battaglia,
cento fanciulle culleranno col canto il tuo sonno.
Porterai la corona del sovrano,
cingerai al fianco una lama fatata,
sarai Signore della terra dei Giovani
e signore di Niam dalla Chioma d'Oro.
Prima che i compagni potessero rendersene conto, ella tese la mano a Oisin che la prese e montò sul cavallo fatato che li portò in una isola che esiste solo per chi la abita ma che nessuno ha mai visto: oltre le nebbie, oltre l'acqua della palude, oltre il reale. Questa terra senza tempo è stupenda: mai nebbia, né pioggia, né vento, né gelo. Tutto è bello e colorato, profumato, tiepido, sereno, tranquillo, dolce, delizioso. Tutto è come un sogno, anche l'amore che legò Oisin alla fanciulla della palude fu un sogno stupendo. Oisin beveva ...