COLLODI (LORENZINI CARLO)

Title:BELLA DAI CAPELLI D' ORO (LA)
Subject:ITALIAN MISCELLANEOUS WRITINGS Scarica il testo


La Bella dai capelli d' oro
di Carlo Collodi

una volta la figlia di un Re, la quale era tanto bella, che in tutto il mondo non si dava e per cagione di questa sua grande bellezza, la chiamavano la Bella dai capelli d'oro, perché i suoi capelli erano più fini e biondi e pettinati a meraviglia le scendevano giù fino ai piedi.
Essa andava sempre coperta dai suoi capelli inanellati, con in capo una ghirlanda di fiori e con delle vesti tutte tempestate di diamanti e di perle, tanto che era impossibile vederla e non restarne invaghiti.
In quelle vicinanze c'era un giovane Re, il quale non aveva moglie, ed era molto ricco e molto bello della persona.
Quando egli venne a sapere tutte le belle cose che si dicevano della Bella dai capelli d'oro, sebbene non l'avesse ancora veduta, se ne innamorò così forte, che non beveva né mangiava più; finché un bel giorno, fatto animo risoluto, pensò di mandare un ambasciatore per chiederla in isposa.
Fece fabbricare apposta una magnifica carrozza per il suo ambasciatore: gli dette più di cento cavalli e cento servitori, e si raccomandò a più non posso perché gli conducesse la Principessa.
Appena ebbe preso congedo dal Re e si fu messo in viaggio, alla Corte non si parlava d'altro: e il Re, che non dubitava punto che la Principessa non volesse acconsentire ai suoi desideri, cominciò subito a farle allestire degli abiti bellissimi e dei mobili di gran valore.
Intanto che erano dietro a questi preparativi, che era arrivato alla Corte della Bella dai capelli d'oro, recitò il suo bravo discorso; ma sia che la Principessa in quel giorno non fosse di buon umore, sia che il complimento non le andasse a genio, fatto sta che rispose all'ambasciatore di ringraziare il Re e di dirgli che non aveva voglia di maritarsi.
L'ambasciarore se ne partì dalla Principessa dispiacentissimo di non poterla condur seco: e riportò indietro tutti i regali, che doveva presentarle da parte del Re: perché la Prilicipessa era molto onesta, e sapeva che alle ragazze non sta bene di accettare i regali dai giovinotti.
Per cui non volle gradire né i diamanti né le altre cose; e solo per non scontentare il Re, accettò una carta di spilli d'Inghilterra.
Quando fu tornato alla capitale dove il suo Re lo aspettava con tanta impazienza, tutti rimasero male dal vedere che non avesse condotto seco la Principessa, e il Re si messe a piangere come un ragazzo, né c'era verso di consolarlo.
Si trovava lì, alla Corte, un giovinetto bello come il sole, il più grazioso di tutti gli abitanti del Regno. A cagione appunto delle sue belle maniere e del suo spirito, lo chiamavano «Avvenente».
Tutti gli volevano bene, meno gli invidiosi, che si rodevano dalla rabbia perché il Re lo colmava di favori e lo metteva a parte d'ogni suo segreto.
Accade che Avvenente si trovò in un crocchio di persone, che parlavano del ritorno dell'ambasciatore e dicevano che non era stato buono a nulla; allora egli disse, senza badarci tanto né quanto:
«Se il Re avesse mandato me dalla Bella dai capelli d'oro, son sicuro che ella sarebbe venuta meco».
Senza metter tempo in mezzo quei malanni risoffiarono subito queste parole al Re e gli dissero:
«Sapete, o Sire, che cosa ha detto Avvenente? ha detto che se aveste mandato lui dalla Bella dai capelli d'oro, egli si riprometteva di condurla seco. Vedete quant'è maligno! è pretende di essere più bello di voi, e vorrebbe dare ad intendere che la Principessa si sarebbe tanto invaghita di lui, da seguitarlo da per tutto».
Ecco il Re che va in bestia e si riscalda in modo da perdere il lume degli occhi: «Ah! ah!», egli dice, «dunque questo bel mugherino si piglia giuoco della mia disgrazia? dunque si stima da più di me? Olà: mettetelo subito nella gran torre, e che lì ci muoia di fame».
Le guardie del Re andarono da Avvenente, il quale non si ricordava nemmeno di quello che aveva detto: lo trascinarono in prigione e gli fecero mille angherie.
Questo povero giovine non aveva che un po' di paglia a uso di letto: e certo vi sarebbe morto, senza una piccola fontana, che scaturiva a piè della torre, dove egli pigliava qualche sorso d'acqua per rinfrescarsi un poco, perché la fame gli aveva seccata la gola.
Un giorno, non potendone più, diceva sospirando:
«Di che mai si lamenta il Re? Fra tutti i suoi sudditi non ce n'è uno che, quanto me, gli sia fedele. Non ho ricordanza di averlo offeso mai!».
Il Re, per caso, passando vicino alla torre, sentì i lamenti di colui che aveva tanto amato, e si fermò per stare in orecchio: quantunque i cortigiani, che erano con lui, e che l'avevano a morte con Avvenente, dicessero al Re: «Che idea è la vostra, o Sire? non sapete che è un malanno?». E il Re rispose: «Lasciatemi qui: voglio sentire quello che dice».
E avendo sentito i lamenti di lui, gli occhi gli s'empirono di pianto: aprì la porta della torre, e lo chiamò.
Avvenente, tutto desolato, andò a buttarsi ai ginocchi del Re, e gli baciò i piedi. «Che cosa v'ho fatto, o Sire», egli disse, «per meritarmi sì duri trattamenti?»
«Tu ti sei preso giuoco di me e del mio ambasciatore», rispose il Re, «tu ti sei lasciato uscir di bocca che, se avessi mandato te dalla Bella dai capelli d'oro, ti saresti stimato da tanto da menarla teco.»
«È vero, Sire», disse Avvenente, «io le avrei raccontato così bene le vostre virtù e i vostri pregi, che son sicuro che ella non avrebbe saputo come resistere; e in tutto questo non mi par che ci sia cosa che possa offendervi.»
Il Re riconobbe, difatto, di aver torto: dette un'occhiata a coloro, che gli avevano messo in disgrazia il suo favorito, e lo menò con sé, non senza pentirsi amaramente del gran dispiacere che gli aveva dato.
Dopo averlo invitato a una lauta cena, lo chiamò nel suo gabinetto e gli disse: «Avvenente, io amo sempre la Bella dai capelli d'oro; il suo rifiuto non mi ha levato di speranza, ma non so che strada mi prendere per indurla a diventare mia sposa. Ho una gran voglia di mandar te, per vedere se tu fossi buono di venirne a capo».
Avvenente rispose che era dispostissimo a obbedirlo in ogni cosa, e che sarebbe partito subito, anche «Oh!», disse il Re, «ti voglio dare una splendida accompagnatura...»
«Non mi par punto necessaria», egli rispose, «quanto a me, mi basta e me n'avanza bel cavallo e di qualche lettera da poter presentare da parte vostra.»
Il Re non poté stare dall'abbracciarlo per la gran contentezza di vederlo così pronto e sollecito a partire.
Egli prese congedo dal Re e dai suoi amici un lunedì mattina, e si pose in viaggio per compiere la sua ambasciata da sé solo, senza fare vistosità e senza fracasso.
Lungo la strada non faceva altro che studiare tutti i modi per impegnare la Bella dai capelli d'oro a divenire la sposa del Re. Portava in tasca un piccolo calamaio, e quando gli veniva qualche bel pensierino da incastrare nel suo discorso, scendeva da cavallo e si metteva sotto un albero per pigliarne ricordo prima che gli passasse dalla memoria.
Una mattina, che era partito sul far del giorno, passando da una gran prateria, gli venne in mente un'idea gentile e graziosa; e sceso subito di sella, andò a mettersi sotto una sfilata di salici e di pioppi, piantati lungo un piccolo ruscello che scorreva all'orlo del prato.
Quand'ebbe finito di scrivere si voltò a guardare da tutte le parti, tanto era contento di trovarsi in un luogo così delizioso! che vide sull'erba un Carpione color che boccheggiava e non ne poteva più, perché, per la gola di chiappare dei moscerini, aveva fatto un salto così lungo e così fuor dell'acqua, che era andato a ricascare sull'erba, dove stava quasi per morire.
Avvenente n'ebbe compassione, e sebbene fosse giorno di magro e potesse fargli comodo per il suo desinare, lo prese e lo rimesse perbenino nella corrente del fiume.
Appena il nostro Carpione sentì il fresco dell'acqua, cominciò a scodinzolare dall'allegrezza e andò subito a fondo: ma poi, ritornato a fior d'acqua, disse, avvicinandosi tutto vispo alla riva:
«Avvenente, io vi ringrazio del servizio che mi avete reso; senza di voi sarei morto e voi mi avete salvato. Io non sono un ingrato e saprò ricambiarvi!».
Dopo questo complimento sparì sott'acqua: e Avvenente rimase molto maravigliato dello spirito e della buona creanza del Carpione.
Un altro giorno, mentre seguitava il suo viaggio, s'imbatté in un Corvo ridotto a mal partito: questo povero uccello era inseguito da un'Aquila smisurata, gran divoratrice di Corvi; e stava lì lì per essere agguantato, e l'Aquila l'avrebbe inghiottito come un chicco di canapa, se Avvenente non si fosse mosso a compassione della povera bestia.
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