COLLODI (LORENZINI CARLO)

Title:BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO (LA)
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Subject:ITALIAN FICTION
Speaker:GUARDIGLI MICHELA
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B>La bella addormentata nel bosco
di Carlo Collodi

una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figliuoli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto. Andavano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora là: voti, pellegrinaggi; vollero provarle tutte: ma nulla giovava. Alla fine la Regina rimase incinta, e partorì una bambina.
Fu fatto un battesimo di gala; si diedero per comari alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese (ce n'erano sette) perché ciascuna di esse le facesse un regalo; e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo.
Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio tornò al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate.
Davanti a ciascuna di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d'oro massiccio, dove c'era dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d'oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini.
Ma in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre, perché da non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta e incantata.
Il Re le fece dare una posata, ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, una posata d'oro massiccio, perché di queste ne erano state ordinate solamente sette, per le sette fate. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo, e brontolò fra i denti alcune parole di minaccia.
Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sentì, e per paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, appena alzati da tavola, andò a nascondersi dietro una portiera, per potere in questo modo esser l'ultima a parlare, e rimediare, in quanto fosse stato possibile, al male che la vecchia avesse fatto.
Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni. La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la più bella donna del mondo: un'altra, che ella avrebbe avuto moltissimo spirito: la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte le cose che avesse fatto: la quinta che avrebbe cantato come un usignolo: e la sesta, che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezione da strasecolare.
Essendo venuto il momento della vecchia fata, essa disse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni, che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sarebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le persone della corte, e non ci fu uno solo che non piangesse.
A questo punto, la giovane fata uscì di dietro la portiera e disse forte queste parole:
«Rassicuratevi, o Re e Regina; la vostra figlia non morirà: è vero che io non ho abbastanza potere per disfare tutto l'incantesimo che ha fatto la mia sorella maggiore: la Principessa si bucherà la mano con un fuso, ma invece di morire, s'addormenterà soltanto in un profondo sonno, che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a svegliare».
Il Re, per la passione di scansare la sciagura annunziatagli dalla vecchia, fece subito bandire un editto, col quale era proibito a tutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita.
Fatto sta, che passati quindici o sedici anni, il Re e la Regina essendo andati a una loro villa, accadde che la Principessina, correndo un giorno per il castello e mutando da un quartiere salì fino in cima a una torre, dove in una piccola soffitta c'era una vecchina, che se ne stava sola sola, filando la sua rocca. Questa buona donna non sapeva nulla della proibizione fatta dal Re di filare col fuso.
«Che fate voi, buona donna?», disse la Principessa.
«Son qui che filo, mia bella ragazza», le rispose la vecchia, che non la conosceva punto.
«Oh! carino, carino tanto!», disse la Principessa, «ma come fate? datemi un po' qua, che voglio vedere se mi riesce anche a me.»
Vivacissima e anche un tantino avventata com'era (e parte il decreto della fata voleva così), non aveva ancora finito di prendere in mano il fuso, che si bucò la mano e cadde svenuta.
La buona vecchia, non sapendo che cosa si fare, si mette a gridare aiuto. Corre gente da tutte le parti; spruzzano dell'acqua sul viso alla Principessa: le sganciano i vestiti, le battono sulle mani, le stropicciano le tempie con acqua della Regina ma non verso di farla tornare in sé. Allora il Re, che era accorso al rumore, si ricordò della predizione delle fate: e sapendo bene che questa cosa doveva accadere, perché le fate l'avevano detto, fece mettere la Principessa nel più bell'appartamento del palazzo, sopra un letto tutto ricami d'oro e d'argento.
Si sarebbe detta un angelo, tanto era bella: perché lo svenimento non aveva scemato nulla alla bella tinta rosa del suo colorito: le gote erano di un bel carnato, e le labbra come il corallo. Ella aveva soltanto gli occhi chiusi: ma si sentiva respirare dolcemente; e così dava a vedere che non era morta. Il Re ordinò che la lasciassero dormire in pace finché non fosse arrivata la sua ora di destarsi.
La buona fata, che le aveva salvata la vita, condannandola a dormire per cento anni, si trovava nel regno di Matacchino, distante di là dodici mila chilometri, quando capitò alla Principessa questa disgrazia: ma ne fu avvertita in un baleno da un piccolo nano che portava ai piedi degli stivali di sette chilometri (erano stivali, coi quali si facevano sette chilometri per ogni gambata). La fata partì subito, e in men di fu vista arrivare dentro un carro di fuoco, tirato dai draghi.
Il Re andò ad offrirle la mano, per farla scendere dal carro. Ella diè un'occhiata a quanto era stato fatto: e perché era molto prudente, pensò che quando la Principessa venisse a svegliarsi, si vedrebbe in un brutto impiccio, a trovarsi sola sola in quel vecchio castello; ed ecco quello che fece.
Toccò colla sua bacchetta tutto ciò che era nel castello (meno il Re e la Regina) governanti, damigelle cameriste, gentiluomini, ufficiali, maggiordomi, cuochi, sguatteri, lacchè, guardie, svizzeri, paggi e servitori; e così toccò ugualmente tutti i cavalli, che erano nella scuderia coi loro palafrenieri e i grossi mastini di guardia nei cortili e la piccola Puffe, la canina della Principessa, che era accanto a lei, sul suo letto. Appena li ebbe toccati, si addormentarono tutti, per risvegliarsi soltanto quando si sarebbe risvegliata la loro padrona, onde trovarsi pronti a servirla in tutto e per tutto. Gli stessi spiedi, che giravano sul fuoco, pieni di pernici e di fagiani si addormentarono: e si addormentò anche il fuoco. E tutte queste cose furono fatte in un batter d'occhio; perché le fate sono sveltissime nelle loro faccende.
Allora il Re e la Regina, quand'ebbero baciata la loro figliuola, senza che si svegliasse, uscirono dal castello, e fecero bandire che nessuno si fosse avvicinato a quei pressi. E la proibizione non era nemmeno necessaria, perché in meno quarto d'ora crebbe, lì dintorno al parco, una quantità straordinaria di alberi, di arbusti, di sterpi e di pruneti, così intrecciati fra loro, che non c'era pericolo che uomo o animale potesse passarvi attraverso. Si vedevano appena le punte delle torri del castello: ma bisognava guardarle da una gran distanza. E anche qui è facile riconoscere che la fata aveva trovato un ripiego del suo mestiere, affinché la Principessa, durante il sonno, non avesse a temere l'indiscretezza dei curiosi.
In capo a cent'anni, il figlio del Re che regnava allora, e che era di un'altra famiglia che non aveva che far nulla con quella della Principessa addormentata, andando a caccia in quei dintorni, domandò che cosa fossero le torri che si vedevano spuntare al di sopra di quella folta boscaglia.
Ciascuno gli rispose, secondo quello che ne avevano sentito dire: chi gli diceva che era un vecchio castello abitato dagli spiriti; chi raccontava che tutti gli stregoni del vicinato ci facevano il loro sabato. La voce più comune era quella che ci stesse di casa un orco, il quale portava dentro tutti i ragazzi che poteva agguantare, per poi mangiarseli a suo comodo, e senza pericolo che qualcuno lo rincorresse, perché egli solo aveva la virtù di aprirsi una strada attraverso il bosco.
Il Principe non sapeva a chi dar retta, quando un vecchio contadino prese la parola e gli disse:
«Mio buon Principe, sarà ormai più di che ho sentito raccontare da mio padre che in quel castello c'era una Principessa, la più bella che si potesse mai vedere; che essa doveva dormirvi cento anni, e che sarebbe destata dal figlio di un Re, al quale era destinata in sposa».
A queste parole, il Principe s'infiammò; senza esitare un attimo, pensò che sarebbe stato lui, quello che avrebbe condotto a fine una sì bella avventura, e spinto ...