COLLODI (LORENZINI CARLO)

Title:BELLA E LA BESTIA (LA)
Subject:ITALIAN FICTION Scarica il testo


La Bella e la Bestiaa
di Carlo Collodi

una volta un mercante che era ricco sfondato. Aveva sei figliuoli, tre maschi e tre femmine; e siccome era un uomo che sapeva il vivere del mondo, non risparmiò nulla per educarli e diede loro ogni sorta di maestri. Le sue figlie erano bellissime: la minore soprattutto era una maraviglia, e da piccola la chiamavano la bella bambina, e di qui le rimase il soprannome di Bella, che fu poi cagione di gran gelosia per le sue sorelle.
Questa figlia minore, oltr'essere la più bella, era anche la più buona delle altre.
Le due maggiori, perché erano ricche, avevano molto fumo; si davano l'aria di grandi signore, e non gradivano la compagnia delle figlie degli altri negozianti, ma se la dicevano soltanto col nobilume.
Andavano dappertutto: ai balli, alle commedie, alle passeggiate; e si ridevano della sorella minore, perché spendeva una gran parte del suo tempo nella lettura dei buoni libri.
E perché si sapeva che erano molto ricche, parecchi negozianti, di quelli grossi davvero, le chiesero in mogli; ma la maggiore e la seconda dissero chiaro e tondo che non si sarebbero mai maritate, se non fosse capitato loro un Duca o a dir poco un Conte.
La Bella (oramai vi ho detto che questo era il nome), la Bella, dunque, ringraziò con molta buona maniera coloro che volevano sposarla: e disse che era troppo giovane e che voleva tener compagnia ancora per qualche anno al suo genitore.
che tutto a un tratto il mercante fece un gran fallimento e non gli rimase altro che una piccola casa assai lontana dalla città. Disse allora ai suoi figli, colle lacrime agli occhi, che bisognava rassegnarsi e andare ad abitare in quella casetta dove, mettendosi tutti a fare i contadini, avrebbero potuto campare e tirarsi avanti.
Le due ragazze più anziane risposero che non volevano saperne nulla di lasciare la città, dov'avevano molti amanti, ai quali non sarebbe parso vero di poterle sposare, anche senza un soldo di dote.
Ma le povere figliuole s'ingannavano all'ingrosso perché, quando furono povere, tutti i loro amanti girarono largo. E siccome, a motivo della loro superbia, non erano in generale ben vedute, cosi dicevano tutti: «Non meritano compassione: è giusta che abbiano dovuto ripiegare le corna; che vadano ora a fare le grandi signore dietro le pecore e i montoni!».
Ma nel tempo stesso tutti dicevano: «Quanto alla Bella, ci rincresce proprio della sua disgrazia: è una gran buona figliuola! è così alla mano coi poveri, e tanto amorosa e gentile!».
Ci furono fra gli altri parecchi gentiluomini che la volevano sposare, sebbene non avesse più un soldo di dote: ma essa disse che non sapeva risolversi a lasciare il suo povero padre nella disgrazia, e che sarebbe andata con lui fra i campi, per consolarlo e dargli una mano nelle fatiche.
La povera Bella, da principio, era rimasta molto male dell'aver perduto ogni ben di fortuna; ma poi si consolò col dire fra sé e sé: "mi struggessi dal pianto, non varrebbe a farmi ricattare quello che ho perso: dunque è meglio cercare di essere felici, anche senza un centesimo in tasca".
Appena arrivati alla casa di campagna, il mercante e le sue tre figlie si dettero subito a lavorare i campi.
La Bella si alzava la mattina alle quattro, avanti giorno, e si dava il pensiero di ripulir la casa e di preparare la colazione e il desinare per la famiglia.
Sul primo ci pativa un poco, perché non era avvezza a strapazzarsi come una serva: ma di lì in capo a due mesi si fece più robusta e, faticando tutto il giorno, acquistò una salute di ferro.
Quando aveva finite le sue faccende, si metteva a leggere o a suonare la spinetta: o anche canterellava e filava.
Le sue sorelle, invece, s'annoiavano da non averne idea: si levavano alle dieci della mattina, girellavano tutto il giorno e trovavano una specie di svago a rimpiangere i bei vestiti e la bella società di una volta.
«Guarda un po'», dicevano fra loro, «come è stupida la nostra sorella minore: e che caratteraccio triviale ! Essa è contenta come una pasqua di trovarsi nella sua disgraziata condizione!...»
Ma il buon mercante non la pensava così. Egli sapeva che Bella aveva molto più garbo delle sue sorelle a fare spicco in società: e ammirava la virtù di questa giovinetta e segnatamente la sua rassegnazione; perché bisogna sapere che le sue sorelle, non contente di buttare addosso a lei tutte le faccende della casa, la punzecchiavano continuamente con mille parole insolenti.
Era corso un anno dacché questa famiglia viveva lontana dalla città, quando il mercante ebbe una lettera nella quale gli si diceva che un bastimento, carico di mercanzie, di sua proprietà, era arrivato felicemente!
Ci scattò poco che questa notizia non facesse dar la balta al cervello alle due ragazze maggiori, le quali speravano così di poter lasciare la campagna, dove morivano dalla noia: e quando videro il padre sul punto di partire, lo pregarono che portasse loro dei vestiti, delle mantelline, dei cappellini e altri gingilli di moda.
La Bella non gli chiese nulla, perché aveva già capito che tutto il valsente delle merci arrivate non sarebbe bastato a contentare i capricci delle sue sorelle.
«E tu non vuoi che ti compri nulla?», le disse suo padre.
«Poiché siete tanto buono da pensare a me», ella rispose, «fatemi il piacere di portarmi una rosa: che in questi posti non ci fanno.»
Non vuol dir già che alla Bella premesse la rosa: ma lo fece, per non criticare col suo esempio la condotta delle sorelle; le quali avrebbero detto che non chiedeva nulla, per farsi distinguere e dar nell'occhio.
Il buon uomo partì, ma appena giunto, ebbe a sostenere un processo a causa delle sue mercanzie: e dopo mille seccature, se ne tornò indietro più povero di prima.
Gli restavano da fare non più di trenta miglia per arrivare a casa, e già si consolava nel pensiero di rivedere la sua famigliola; ma dovendo traversare un gran bosco, si smarrì e perdé la strada.
La neve fioccava da far paura, e soffiava un vento così strapazzone, che lo gettò per due volte giù da cavallo. Venuta la notte, egli cominciò a credere di dover morire o di fame e di freddo, o divorato dai lupi, che si sentivano urlare a poca distanza.
Quando a un tratto, nel voltar verso il fondo di una lunga sfilata d'alberi, vide una gran fiamma che pareva lontana lontana.
S'avviò da quella parte, e poté distinguere che quella luce usciva da un gran palazzo, che era tutto illuminato.
Il mercante ringraziò il cielo del soccorso mandatogli e si affrettò per giungere a questo castello; ma rimase grandemente stupito di non trovarci anima viva.
Il suo cavallo, che gli andava dietro, avendo visto una bella scuderia aperta, entrò dentro; e trovatovi fieno e biada, il povero animale, che moriva di fame, vi si buttò sopra con grandissima avidità.
Il mercante lo legò alla greppia: e s'avviò verso la casa, dove non trovò nessuno. Ma entrato che fu in una gran sala, vi trovò un bel fuoco acceso, una tavola apparecchiata e con molte pietanze: ma c'era una posata sola.
Essendo bagnato fino al midollo dell'ossa, per la neve e la molt'acqua che aveva preso, si avvicinò al fuoco per asciugarsi, dicendo fra sé: "Il padrone di casa e i suoi domestici mi scuseranno della libertà che mi prendo! Sono sicuro che staranno poco ad arrivare".
Aspetta, aspetta e nessuno veniva: finché suonarono le undici e ancora non s'era visto alcuno. Allora non potendo più stare alle mosse, dalla gran fame prese un pollastro e, tremando dalla paura, lo mangiò in due bocconi.
Bevve anche qualche sorso di vino, e messo su un po' di coraggio, uscì dalla sala e traversò molti quartieri splendidamente tappezzati e ammobiliati. Alla fine trovò una camera dove c'era un buon letto: e perché era mezzanotte suonata e si sentiva stanco morto, prese il partito di chiuder l'uscio e di coricarsi.
La mattina dopo si svegliò verso le dieci: e figuratevi come rimase, quando trovò un vestito molto decente nel posto dove aveva lasciato il suo, che era tutto logoro e cascava a pezzi.
«Si vede bene», egli disse, «che in questo palazzo ci sta di casa qualche buona fata, che si è mossa a compassione di me.»
Si affacciò alla finestra e non vide più un filo di neve, ma pergolati di bellissimi fiori, che innamoravano soltanto a guardarli.
Ritornò nella gran sala, dove la sera avanti aveva cenato e vide una piccola tavola, con sopra una chicchera e un vaso di cioccolata.
«Grazie tante», diss'egli a voce alta, «grazie tante, signora fata, della garbatezza di aver pensato alla mia colazione.»
Il buon uomo, quand'ebbe preso la cioccolata, uscì per andare dal suo cavallo; e passando sotto un pergolato di rose si ricordò che la Bella gliene aveva chiesta una, e staccò un ...