CARROLL LEWIS (DODGSON CHARLES LUTWIDGE)

Title:NEL PAESE DELLO SPECCHIO
Subject:ENGLISH FICTION Scarica il testo


ATTRAVERSO LO SPECCHIO
di Lewis Carroll



LO SPECCHIO

Una cosa era certa: che il micino bianco non affatto: la colpa era tutta del nero. Durante l'ultimo quarto d'ora Dina, la gatta madre, aveva lavata la faccia al micino bianco (operazione che il micino dopo tutto, aveva sopportato con dignità); era quindi chiaro che esso non aveva potuto aver parte nel misfatto.
Il modo come Dina lavava la faccia ai figli era questo: prima teneva il poverino per l'orecchio con una zampa, e poi con gli stropicciava tutto quanto il muso, contro pelo, principiando dal naso; e proprio poco prima, come ho detto, era stata occupatissima col micino bianco, che se ne stava tranquillo e calmo tentando di far le fusa, certo col sentimento che tutto si faceva per il suo bene.
Ma il gattino nero era stato lavato prima in quel pomeriggio; e così, mentre Alice se ne stava rannicchiata in un cantuccio della maestosa poltrona, in una specie di dormiveglia, esso s'era dato a una gran partita di salti col gomitolo che Alice aveva pazientemente fatto dalla matassa di lana, rotolandolo su e giù finchè l'aveva tutto ingarbugliato. Ed ora ecco il gomitolo sparso sul tappeto tutto nodi e grovigli, col gattino in mezzo che cerca di acchiapparsi la coda.
- Ah, brutto micio - gridò Alice acchiappando il gattino e dandogli un bacio per fargli capire in collera. - Veramente Dina avrebbe dovuto insegnarti a essere più educato! Tu devi farlo, Dina, tu sai che devi farlo! - essa aggiunse, dando un'occhiata di rimprovero alla gatta madre, e parlando col suo miglior tono di disapprovazione. E poi, arrampicatasi di nuovo sulla poltrona, dopo aver preso con sè il gattino e la lana, cominciò a rifare il gomitolo. Ma andava innanzi lentamente, perché nel frattempo chiacchierava, un po' per il gattino e un po' per sè. Sulle ginocchia di lei il micio sedeva in aria triste, fingendo di osservare il progresso del gomitolo e di tanto in tanto sporgendo una zampetta, e pianamente toccando la palla, come per dire che, potendo, avrebbe aiutato il lavoro volentieri.
- Sai che è domani, micino? - cominciò Alice. - Se fossi venuto alla finestra con me, tu l'avresti indovinato... Ma Dina ti lavava la faccia e non hai potuto. Io guardavo i ragazzi che raccoglievano le fascine e le frasche per la fiammata di carnevale. Ce ne vogliono molte di fascine, micino. Ma faceva tanto freddo e nevicava tanto, che dovettero andarsene. Non importa, micino, domani andremo a vedere la fiammata. - Qui Alice avvolse due o tre volte il filo intorno al collo del gattino, per vedervi ma nell'atto le sfuggì il gomitolo che rotolò sul pavimento, disfacendosi di nuovo per molti metri di filo.
- Sai, micino, io ero così arrabbiata, - continuò Alice, appena si furono riaccomodati sulla poltrona, - quando vidi tutto il danno che avevi fatto. Avrei quasi aperto la finestra per gettarti nella neve! E l'avresti meritato, brigantaccio! Che hai da dire? Non essa continuò, levando un dito. - Ora ti dirò tutte le tue cattive azioni. Prima: questa mattina, hai strillato due volte, mentre Dina ti lavava la faccia. E non puoi negarlo, micino, l'ho sentito io. Che cosa dici? (fingendo che il gatto abbia parlato) - fatto entrar una zampa nell'occhio? Colpa tua, se tenevi gli occhi aperti: se li avessi tenuti ben chiusi, non sarebbe accaduto. Ora sono inutili le scuse, ascolta. Secondo: tu hai tirato Nevina per la coda mentre io le mettevo innanzi il tegame del latte. Che cosa? Avevi sete anche tu? Come sai che non fosse assetata anche lei? Terzo: hai disfatto il gomitolo mentre io guardavo da un'altra parte. Sono tre mancanze, Frufrù, e tu non hai avuto ancora nessun castigo. Tu sai che ti riserbo i castighi per mercoledì di quest'altra settimana. Immagina un po' se a me avessero riserbato tutti i castighi per un dato giorno? Quanto farebbero alla fine anno? Credo che arrivato quel giorno, mi dovrebbero mandare in prigione. Supponendo anzi che ciascun castigo dovesse consistere nel rimanere senza desinare, allora, arrivato quel terribile giorno, dovrei fare a meno di cinquanta desinari in una volta sola. A dir la verità, non molto. Sarei più contenta di rimaner digiuna che di mangiarli. «Senti la neve contro i vetri della finestra, Frufrù? Che suono dolce! Come se uno stesse baciando la finestra dal di fuori. Forse la neve vuol bene agli alberi e ai campi e li bacia così soavemente! E poi li copre ben bene, sai, con una coperta bianca, e forse dice: «Andate a letto, cari, andate a letto, cari!» E l'estate quando si svegliano, Frufrù, si vestono tutti di verde e si mettono a ballare... quando soffia il vento... Oh che bellezza! - esclama Alice, lasciando cadere il gomitolo di lana per battere le manine.
«E io desidererei tanto che fosse vero! Certo che i boschi par che dormano in autunno, quando ingialliscono le foglie.
«Frufrù, ti piace giocare a scacchi? Ora non ridere, caro, io te lo domando seriamente. Perchè, quando poco fa stavamo giocando, tu guardavi come se sapessi il giuoco; e quando ho detto: «Scacco matto» tu hai fatto le fusa. Sì, è stato un magnifico scacco matto, e veramente avrei potuto vincere se non fosse stato per quel brutto cavaliere che si sviò fra i miei pezzi. Frufrù caro, fingiamo...»
E qui vorrei saper riferire se non altro una metà delle cose che soleva dire Alice, quando cominciava con la sua parola favorita: «Fingiamo...» Ella aveva avuto il giorno prima una lunghissima discussione con la sorella, soltanto perché aveva cominciato: «Fingiamo re e regine»: sua sorella, alla quale piaceva sempre molto esatta, aveva risposto che non potevano perché erano soltanto in due, e Alice era stata costretta finalmente a dire: «Allora tu puoi essere una, e io sarò tutti gli altri.» E una volta aveva veramente atterrita la vecchia governante strillandole a un tratto nell'orecchio: «Signorina, fingiamo che io sia una iena affamata e voi un orso!»
Ma questo vuol dir divagare dal discorso di Alice al micio:
- Fingiamo che tu sia la Regina Rossa, Frufrù. Sai che penso? Che se tu stessi seduto e incrociassi le braccia, saresti preciso come lei. Prova subito, caro.
E Alice prese la Regina Rossa dal tavolo e la mise innanzi al micino come il modello da imitare; ma la cosa non riuscì, principalmente, disse Alice, perché il gattino non volle piegar bene le braccia. Così, per punirlo, lo tenne di fronte allo specchio, perché guardasse quant'era goffo.
-...E se non stai buono, - aggiunse, - ti faccio andare nello specchio. Ti piacerebbe di andare nello specchio? Ora, se stai attento, Frufrù, e non parli tanto, ti dirò tutta la mia idea intorno alla Casa dello Specchio. Prima di tutto, la stanza che si vede attraverso lo Specchio: è precisa come il salotto dove stiamo; però tutte le cose son messe alla rovescia. Salendo su una sedia la veggo tutta... tutta tranne la parte dietro il caminetto. Quanto mi piacerebbe veder quella parte! Chi sa se il fuoco: se il nostro focolare non fa fumo, non mai; ma se fumo di qua, fumo anche di là. Ma chi sa, può essere una finzione, per dare a credere che ci sia il fuoco anche di là. I libri, poi, somigliano ai nostri libri; ma le parole sono stampate a rovescio. Questo lo so; perché ho tenuto un libro contro lo specchio, e nell'altra stanza ne hanno pigliato un altro.
«Ti piacerebbe di stare nella Casa dello Specchio, Frufrù? Chi sa, se ti darebbero il latte là dentro? Forse il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere... E ora, Frufrù, arriviamo al corridoio. Se si lascia aperta la porta del nostro salotto si vede un pezzettino del corridoio della Casa dello Specchio: somiglia molto al corridoio nostro, ma chi sa se più in là non è diverso. Oh, Frufrù, che bellezza se potessimo entrare nella Casa dello Specchio! Son certa che ci sono tante belle cose. Fingiamo di poterci entrare, Frufrù, fingiamo che lo specchio sia morbido come un velo, e che si possa attraversare. To', adesso sta diventando come una specie di nebbia... Entrarci è la cosa più facile del mondo.»
Alice stava sulla mensola del caminetto mentre diceva così, sebbene non sapesse spiegarsi come fosse arrivata lassù. E certo il cristallo cominciava a svanire, come una nebbia lucente.
L'istante dopo Alice attraversava lo specchio e saltava agilmente nella stanza di dietro. La prima cosa che fece fu di guardare se ci fosse il fuoco nel caminetto, e fu tanto contenta di vedere che ce n'era uno vero, pieno di fiamme vive, come quello che aveva lasciato nel salotto.
«Così, qui starò calda come nell'altra stanza, - pensò Alice, - più calda, veramente, perché qui non ci sarà nessuno che mi farà allontanare dal caminetto. Che bellezza, quando mi vedranno attraverso lo specchio e non potranno toccarmi!»
Poi cominciò a guardare intorno intorno, e si accorse che ciò che poteva essere veduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessante, ma che ...