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VARMA NISHU
Title:IL MERLO E LA PREGHIERA
Subject:FICTION
Nishu Varma
IL MERLO E LA PREGHIERA
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Da “I BASTONI DELLO YETI E ALTRE FAVOLE DI NEPAL”
EMI 1996
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Questa è la storia di un piccolo paese ai piedi delle alte montagne che circondano l'Everest. La regione è coperta di neve quasi tutto l'anno e le condizioni di vita, come si può immaginare, non sono affatto facili. La bella stagione dura solo pochi giorni, quando i raggi del sole riescono a scaldare, appena un poco, il suolo.
La storia è accaduta, ovviamente, nei tempi antichissimi, quando il popolo di questo paese credeva di vivere in un mondo ideale; e sapete perché? Perché aveva un re molto saggio, buono e valoroso. Il compito di governare non è mai stato facile, ma quel re vi riusciva nel modo migliore. Per esempio, durante il breve periodo della bella stagione, seguendo i suoi ordini, tutti uomini validi e robusti scendevano verso la pianura a fare acquisti, mentre gli anziani si prendevano cura dei bambini, delle donne e dei malati. Così ci si riforniva, oltre che di vestiti e coperte di lana, anche di riso, di lenticchie, di carne e di tutte le cose necessarie per sopravvivere nel lunghissimo e gelido inverno.
Gli acquisti venivano portati nel palazzo, dove il re li divideva in misura uguale fra tutti i cittadini. Ognuno riceveva la giusta parte di viveri e di vestiti e non c'era nessuno che si lamentasse, perché proprio tutti, anche i bambini e gli anziani, venivano tenuti in conto durante la distribuzione.
Però alla gente, in questo mondo ideale, mancava qualcosa di molto importante. Sapete che cosa?... La preghiera!... La gente era così preoccupata della sopravvivenza che non trovava mai il tempo di ricordare il Signore, il Creatore del mondo.
Una sera, durante la bella stagione, il re stava riposando nel suo palazzo. All'improvviso sentì una dolce melodia. Uscì sul balcone in tutta fretta, ma non vide nessuno. Rimase ancora in ascolto... Poi chiamò le guardie e chiese:
La mattina dopo si svegliò all'alba e andò sul balcone a guardare il sole che stava per sorgere là, all'orizzonte. Gli risuonava ancora nella mente e nel cuore la melodia della sera prima... Non riusciva a dimenticarla... quand'ecco, un'altra volta, lo stesso suono! Dolce come la prima volta, infondeva un senso di pace e di gioia! Ma anche questa volta non riuscì a scoprire da dove venisse quella musica. Fece cercare nei giardini, nel palazzo, ovunque, ma invano. Non si trovò nessuno. Era però sicuro che la fonte di quel canto fosse nascosta su un albero o dentro un cespuglio.
Allora il re chiamò tutti i suoi consiglieri e raccontò loro quel che gli era accaduto. Nessuno seppe fornirgliene una spiegazione credibile e perciò il sovrano disse: «Chiunque porti davanti a me chi canta così dolcemente, sarà premiato!». Il paese, sonnolento - perché il tepore dell'aria dopo il grande freddo dava uno strano senso di torpore -, si svegliò all'improvviso e tutti si misero a cercare.
Alcuni correvano avanti e indietro, allettati dal premio, altri stavano di guardia vicino alla corte, per sapere subito se arrivavano notizie. Non si parlava d'altro e c'era in giro una grande emozione, che coinvolgeva persone, animali, piante... tutta la natura!
Uno strano tipo di rospo, seduto sull'orlo di un pozzo, stava guardando con interesse tutto quel movimento, quando vide arrivare alcuni soldati, che si fermarono proprio accanto al pozzo per riposare. E uno di loro disse: «È tutto il giorno che cerchiamo, ma non abbiamo trovato nessuno». «È vero. - disse un altro - ma non possiamo tornare a corte senza di lui». Allora il rospo osò intromettersi: «II vostro discorso mi incuriosisce. Di chi state parlando?».
«Stiamo cercando uno che canta una dolce canzone tutti i giorni, all'alba e al tramonto. Lo conosci per caso?». «Ma certo, -disse il rospo - sono io quello che cercate». I soldati furono felici della scoperta. Subito presero il rospo e lo portarono a corte. Al re sembrò un po' strano che il rospo avesse una voce così bella. Però si rivolse a lui con grande affabilità: «Mi è stato detto che Lei canta all'alba e al tramonto di tutti i giorni. Sarebbe un onore per me sentirLa anche adesso, sebbene sia mezzogiorno». Il rospo si sentì lusingato da tanto rispetto e si mise a cantare... anzi a gracidare. Alla fine del canto, il re gli disse: «Grazie per la sua cortesia. Ha una voce davvero eccezionale, ma non è quella che ho sentito». E ordinò ai suoi ministri di cercare nei tesori della reggia un dono adatto per il rospo.
La ricerca ricominciò e questa volta fu il corvo ad essere portato davanti al re. A richiesta del sovrano si mise a... gracchiare. Un'altra volta, il re lo ringraziò e lo ricompensò adeguatamente, ma ripetè il suo editto; «Chi mi porterà colui che canta tanto dolcemente sarà premiato».
Fu un gruppo di ragazzi che riuscì nell'impresa. Stavano mangiando dei biscotti nel bosco, dove si erano recati per giocare, quando si avvicinò un merlo. Gli offrirono un biscottino, con gesto amichevole. Più tardi, mentre parlavano fra loro, un ragazzo chiese al merlo: «Ci sai dire chi è che canta una canzone tanto melodiosa tutti i giorni, all'alba e al tramonto?». Ormai la domanda sembrava diventata un indovinello!
Il merlo rispose semplicemente: «Sono io». I ragazzi scoppiarono a ridere, perché era la stessa risposta data dagli altri due can-torf , cioè dal rospo e dal corvo. Ma l'uccello ripetè: «Sono certo che è mia la voce che cercate. Però, mi volete dire il perché di questa indagine?». I ragazzi gli raccontarono quello che era successo al re. Alla fine del loro racconto, il merlo disse: «Avvertite il re di aspettarmi domattina, all'alba, sul suo balcone. Mi troverà posato sul ramo di un albero e gli canterò la canzone che tanto lo appassiona» e volò via nel cielo.
Dire che i ragazzi rimasero stupiti è dir poco. Corsero verso il palazzo e diedero la notizia al loro sovrano.
La mattina seguente, ancor prima che sorgesse l'alba, il re era là ad aspettare il merlo sul balcone. Anche il popolo si era radunato sotto il balcone, nella speranza di veder svelato il mistero del canto melodioso.
Appena i primi raggi del sole sfiorarono la terra, si sentì un battito d'ali e nel chiarore della luce nuova si vide il merlo poggiare le zampette sul ramo di un albero.
Nel silenzio più assoluto cominciò a cantare e sembrava una melodia divina. La gente, commossa dalla dolcezza del canto, piangeva. E piangeva anche il re.
Finita la melodia, il merlo andò a posarsi su una mano del sovrano e chiese: «Perché piange così, altezza?». «È la sua canzone - rispose il re -. È bellissima, anche se non ne ho capito il significato. Che cosa cantava?».
L'uccello rispose: «II mio canto è una preghiera!». «Una preghiera?» chiesero tutti in coro. «E che cos'è una preghiera?».
Allora egli disse: «È un modo di ringraziare Dio, il Signor Creatore del mondo, per avermi dato la vita. Vedete, io sono piccolo e non posso dargli una mano per risolvere i Suoi problemi. E ne ha tanti! Sì, perché tutti i problemi del mondo sono anche Suoi problemi. Però, nessuno mi può impedire di ringraziarlo per tutto ciò che mi ha dato: la possibilità di vedere un'alba nuova e di chiudere gli occhi nella pace al tramonto del sole, tutti i giorni. Ecco perché io canto mattina e sera».
Il re fu colpito da questa spiegazione e si vergognò molto della propria irreligiosità e di quella del suo popolo... di non ricordare mai l'Ente supremo che fa funzionare tutto: il sole, la luna, le stelle, i mari, la terra... proprio tutto.
Con voce commossa parlò al popolo e disse: «Da oggi in poi anche ognuno di noi dirà una preghiera di ringraziamento a Dio per averci dato un'altro giorno di vita».
Così la preghiera arrivò in quel regno sperduto ai piedi delle montagne che circondano l'Everest, là dove i raggi del sole fanno fatica a penetrare le nubi.
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