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Strada Annalisa
Title:IL GRANDE GIOCO
Subject:FICTION
ANNALISA STRADA
IL GRANDE GIOCO
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Antefatto
L’Istituto Ermellina Dandoloni
Non c’è un cartello, non c’è una scritta. Solo un lungo muro grigio. E nel muro si apre un portone di legno. Al portone sta appesa una campana. Chi la suona sa già perché è lì. Tutti in città sanno che cos’è quel posto.
L’Istituto Ermellina Dandoloni fu fondato nella notte dei tempi – diciamo almeno un secolo fa – da una nobildonna senza eredi che destinò tutti i suoi beni alla cura e all’istruzione degli orfani, dei poveri e degli sfortunati. Da allora centinaia e centinaia di bambini, generazione dopo generazione, sono cresciuti dietro quel muro grigio.
Oltre il muro, l’Istituto presenta la sua facciata migliore: una graziosa e immensa villa settecentesca sprofondata in un parco verdeggiante, selvaggio come una foresta. Gli sforzi dei giardinieri, pure diligenti, hanno scarso successo: le piante crescono con rigoglio quasi sfrontato e i fiori sbocciano, variopinti e profumati, dalla primavera all’autunno. I ragazzi del Dandoloni ci ridono sopra: persino le piante si ribellano all’ordine imposto da Nicoletta Bonometti, direttrice dell’istituto nonché preside della scuola e, come se non bastasse, amministratore dell’Opera Pia Ermellina Dandoloni.
Nicoletta Bonometti è la prima persona che si conosce entrando nell’Istituto. I suoi impeccabili tailleur grigi sono passati alla storia come il cappello di Napoleone. Il suo sguardo duro e penetrante è celebre almeno quanto la bocca della balena di Pinocchio. Le sue sfuriate sono leggendarie come i tornado della Florida. Chi la conosce non la dimentica più. Nemmeno se si sforza.
Dietro il muro grigio che si vede dalla strada, i ragazzi dell’Istituto – anno dopo anno – hanno studiato e vissuto, sofferto e gioito, uscendo solo due giorni ogni trenta: il terzo fine settimana del mese, quando l’Opera Pia organizza la gita mensile, che dura dal sabato alla domenica… una “grande” occasione mondana!
Tutti i ragazzi dell’Istituto Ermellina Dandoloni hanno una cosa in comune con ogni ragazzo di qualsiasi orfanotrofio del mondo. Sanno che il terzo fine settimana del mese, nel retrobottega del negozio di modellismo di Osvaldo Peroni, all’angolo tra via Mazzini e via Cavour, in piena periferia, si può giocare. E ci si dedica a un intrattenimento speciale: il lungo gioco del grande plastico.
A organizzare il grande appuntamento era Osvaldo, che amava curare ogni minimo dettaglio e accertarsi di persona che tutto il necessario per l’evento fosse a disposizione dei numerosi ospiti.
Non c’è da pensare, però, che Osvaldo si mettesse a distribuire inviti. La notizia dell’incontro volava di bocca in bocca tra i ragazzi. Chi c’era già stato lo diceva a chi ancora non aveva avuto tanta fortuna. Chi ne aveva sentito parlare, chiedeva informazioni e raccoglieva briciole di racconti, dicerie, rapide allusioni e notizie. Così la curiosità cresceva e non c’era nessuno che, più o meno, non sapesse qualcosa di quello splendido gioco.
Quel fine settimana, proprio là, al grande plastico, dovevano andare Enrico Bellami, Francesco Rizzi, Guendalina Speroni e Hortensia Vergani.
Questa volta – lo sapevano – toccava a loro sperimentare il grande gioco.
Parte prima
Il viaggio
Il piano
All’interno dell’istituto, femmine e maschi occupavano ali separate del palazzo e i contatti tra i due gruppi, al di fuori dell’orario scolastico, erano rarissimi. Per questo motivo, avevano impiegato giorni e giorni a escogitare un piano per eludere la gita e avere il fine settimana libero.
L’idea l’aveva lanciata Hortensia ed era stata raccolta subito da Enrico.
Dove era Hortensia, lì si trovava pure Guendalina. Enrico, dal canto suo, non sarebbe mai andato da nessuna parte senza Francesco. Quindi il gruppo era fatto.
“Portiamo anche Maddalena?” aveva azzardato Guendalina.
“No!” avevano risposto gli altri in coro: “Non possiamo spostarci in troppi! Quanti più siamo, tanto maggiore è il rischio che ci scoprano!”
La discussione era avvenuta in un angolo del parco, dietro il capanno degli attrezzi. Proprio lì, ogni giorno, per dieci minuti, durante la pausa del gioco libero comune a maschi e femmine, i quattro si erano incontrati e avevano complottato.
“Questo mese, dove ci portano in gita?”
“Dove dovrebbero portarci, intendi dire…”
“Be’, insomma, non andare troppo il sottile: spara i dettagli!”
Hortensia aveva bisbigliato la sua idea. Gli altri avevano sussurrato le loro obbiezioni. E, alla fine, ogni ingranaggio aveva trovato il suo posto e la sua funzione nel meccanismo che, una volta attivato, li avrebbe portati verso il grande gioco.
Bisogna sapere che, al Dandoloni, le gite di fine mese erano sempre organizzate da un gruppo composto da tre volontari: Fiorella, Ludovico e Marcello. I promotori designavano un luogo turistico distante non più di due ore di viaggio e lo sceglievano sempre tra quelli che erano sede di altri istituti simili al Dandoloni, così i partecipanti potevano stringere amicizie e giocare con i propri coetanei. Raccoglievano le adesioni tra i ragazzi e, alle 17,30 del sabato, li caricavano su un grande pullman per portarli a destinazione. Il sabato sera era dedicato alla proiezione di un film oppure a un torneo di ping pong o di carte. La domenica mattina era impegnata da un’escursione culturale. Il rientro era previsto nel primo pomeriggio di domenica. Insomma, l’occasione per un po’ di controllata baldoria. Meglio che niente!
Quel fine settimana, in molti avevano deciso di restare al Dandoloni: si sapeva con certezza che Nicoletta Bonometti si sarebbe assentata dal pomeriggio del sabato, appena partiti i gitanti, fino al pranzo della domenica: la sua veneranda nonna compiva cent’anni e la preside tornava dalla famiglia, dove l’attendeva una luculliana*1 cena di festeggiamento.
L’assenza della signorina, con tutte le ore libere che comportava, era un evento storico, che non trovava precedenti nella storia del Dandoloni.
La sorveglianza si sarebbe allentata, quindi i ragazzi intenzionati a restare già pregustavano lunghe partite di pallavolo sulle aiuole del parco, scorribande notturne in cucina e ricchi furti nella dispensa. Una pacchia!
Obbedendo agli ordini di Hortensia, Guendalina prenotò i posti per due alla gita. Altrettanto fece Francesco.
La sera del venerdì prima della partenza, all’ora del telegiornale, la preside era assorta nelle notizie di politica internazionale. Hortensia scese a passo felpato fino alla cabina che si trovava in un angolo dell’ingresso. Utilizzando la carta telefonica che teneva per le grandi occasioni, aveva chiamato il servizio d’informazioni e aveva chiesto il numero di casa di Fiorella Parzani, la signora che organizzava la gita. Quando lo aveva ottenuto, era uscita dall’angolo del telefono per controllare che nessuno stesse ascoltando. Era molto nervosa e guardò persino dietro i vasi di fiori, per accertarsi senza ombra di dubbio che nessuno la spiasse.
Rimproverandosi di perdere tempo, compose rapidamente il numero.
“Pronto?” la vocina all’altro capo del telefono era chiara e gentile, con la televisione in sottofondo.
“Casa Parzani?”
“Sì, chi sei?”
“Sono Hortensia Vergani…”
“Hortensia… Hortensia del Dandoloni?”
“Sì, proprio quella…”
“Come hai fatto ad avere il mio numero?” Fiorella non era preoccupata, era solo curiosa. Ma a Hortensia sembrò di sentire un velo di sospetto nel tono della voce. Quindi corse ai ripari: “Ho chiesto il numero alla signorina Bonometti perché speravo di poterti parlare personalmente.” E aggiunse il tocco finale: “Mi sei molto simpatica. Mi faceva piacere poterti sentire…”
“Oh… Che carina!” Fiorella era in sollucchero. Hortensia si sentì una traditrice, ma tutto sommato era per una giusta causa: avrebbe presto trovato il modo di comportarsi meglio con Fiorella.
Per di più il tempo stringeva. Il telegiornale, che si sentiva attraverso la porta della presidenza, stava già arrivando alle notizie sportive.
“Ti disturbo per la gita di domani…”
“Ho visto che sei iscritta.”
“Ecco, appunto. Sono sinceramente dispiaciuta, ma devo studiare tanto e credo che sarebbe meglio che stessi qui…”
“Oh, ma non sono gite molto lunghe. Non uscite mai! Ti farebbe bene distrarti un po’. Sei così pallida ultimamente…”
Hortensia cominciava a innervosirsi.
“Ne ho già parlato con la preside. Devo proprio recuperare. E restano a casa anche Rizzi, Speroni e Bellami.”
“Accidenti! Ho già consegnato l’elenco degli iscritti alla preside. Dovrò passare domani con l’elenco aggiornato!”
“No, non ti preoccupare Fiorella: ho parlato io con la signorina Bonometti. Ha già preso nota lei dei nomi di quelli che non verranno. Ha detto che, come al solito, farà uscire solo gli iscritti e voi li mettete sul pullman.” Si sentì in dovere di sottolineare che non era una procedura anomala e ribadì: “Come al solito.”
“Ho capito. Va bene…” e, quasi senza accorgersene, anche Fiorella insistette: “Come al solito.”
“Appunto” Hortensia cercò di tagliar corto.
“Spero che la prossima volta verrai.”
“Ci puoi contare!” E Hortensia la salutò sperando in cuor suo che non scoprissero l’inganno: solo così, infatti, ci sarebbe potuta essere un’altra volta.
Salì a quattro a quattro i gradini della scala che portava alle camere. Appoggiò il piede sul pianerottolo mentre la sigla di chiusura del telegiornale intonava le prime note.
Spalancò la porta della camera. Fece un cenno di conferma a Guendalina e spense la luce. Poi si affacciò alla finestra e, con ...
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