UGOLOTTI BRUNO

Title:IL LUPO MANNARO
Subject:ITALIAN FICTION Scarica il testo


IL LUPO MANNARO
da
La Sala degli Specchi
di
Bruno Ugolotti

C'era una volta un lupo mannaro ch'era il terrore della contrada. "Sta attento che viene il lupo", dicevano le mamme ai figliuoli, e i figliuoli smettevano di fare birichinate.
I pastori che portavano i greggi a pascolare non si addormentavano mai. I boscaioli lavoravano d'ascia in fretta in fretta per ritornare a casa prima che facesse buio.
I contadini, per non andare a far la spesa in città attraverso i boschi e trovarsi col lupo alle calcagna, coltivavano nei loro campicelli arrampicati su per le montagne tutto ciò di cui avevano bisogno per vivere, allevavano i porci e le vaccine, facevano il vino colla loro uva, tiravano il collo alle loro galline, portavano il grano al mulino, tornavano a casa colla farina e colla farina facevano il pane e certe focacce con i tocchetti di pancetta infilati dentro che sentivate il profumo dalla strada.
Al tempo delle castagne prendevano le falci ed i falcetti, poi giù a sarchiare sotto i castagneti che alla fine sembravano giardini, pel timore che il lupo li stesse ad aspettare dietro qualche cespuglio e gli piombasse addosso mentre stavano chini nei solchi a raccogliere i ricci.
D'inverno, quando fischiava il sinibbio e la galaverna scendeva dalle montagne a disegnare i fiori sui vetri, la gente metteva un ciocco nel camino e si sbarrava in casa. Mentre le donne facevano la tela, gli uomini rinforzavano le porte e le impannate, aggiustavano i tetti e spargevano zolfo sull'entrata. Quando gli rimaneva un po' di tempo si mettevano a costruire mobili, attrezzi, carri agricoli e arredi per gli animali da tiro. Alla fine prendevano per mano la consorte, spegnevano il lume e andavano a letto.
I forestieri restavano ammirati dell'ordine e della laboriosità che, per paura del lupo, regnavano in quel paese: tanto che molti, di ritorno, si auguravano di trovare un lupo a casa loro.
Un giorno però capitò da quelle parti un professore che aveva studiato a lungo economia, scienze sociali, diritti umani ed altre discipline indispensabili per il progresso dell'umanità. Prese in affitto una casetta, la riempì di libri, appiccicò un cartello sulla porta col suo nome e i suoi titoli che avrebbero potuto fare invidia ad un ministro dell'istruzione pubblica. A pianterreno arredò una stanzetta con qualche panca per i visitatori, una cattedra, una lavagna, un pianoforte, e per dissimulare le sue vere intenzioni e schivare eventuali rappresaglie, cominciò a spargere la voce che dava lezioni di canto.
La gente accorreva.
"Che me l'insegnereste Bella Ciao?"
"Certamente".
"Marechiaro, Lunarossa?"
"Con piacere".
Finite le lezioni però si metteva a parlare del più e del meno cogli allievi fino a che, a poco a poco, tirava in ballo la questione del lupo. Come filosofo e amante dell'umanità per vocazione, quel lupo il professore ce l'aveva come il fumo negli occhi. Saliva in cattedra, citava passi dei suoi autori preferiti, faceva degli schemi alla lavagna per dimostrare ai rozzi paesani l'eccellenza delle istituzioni democratiche sopra la tirannia e promoveva il dialogo di gruppo.
Insomma, tanto disse e tanto fece che dopo qualche tempo gli abitanti di quel paese non pensavano ad altro che a disfarsi del lupo che con tanta arroganza conculcava i loro diritti, rovinava la loro economia e limitava l'esercizio delle loro libertà fondamentali. E si dicevano:
"Ah, se fosse possibile comprare il latte dal lattaio in luogo d'ingobbire mungendolo!"
"I salumi dal salumaio!"
"Il pane bell'e fatto!"
Molti sognavano già gli svaghi e le comodità della città verso la quale avrebbero potuto finalmente intraprendere il viaggio con sicurezza e alcuni pensavano addirittura di stabilircisi e andare a lavorare nelle fabbriche anziché rimanere a tribolare sotto il sole e la pioggia per guadagnare appena da vivere.
Ma disfarsi d'un lupo è una parola, e specialmente d'un lupo come quello. I paesani fecero consiglio e diedero carta bianca al loro mentore. E questi ci si mise di buzzo buono.
Guarda te la fortuna, tra i suoi libri c'era un grosso manuale di caccia grossa scritto dai più valenti cacciatori di questa terra. Il professore lo tirò fuori, gli diede giù la polvere e cominciò a sfogliarlo.
Sfoglia sfoglia, pareva che i cacciatori si fossero dimenticati del lupo.
"Oh perbacco!" si disse il professore.
Ma non si arrese per cosi poco. Girò le pagine alla rovescio e cominciò di nuovo dal principio. Caccia al mammouth dell'uomo delle caverne. Ciò non faceva davvero al caso suo. I trucchi che venivano di seguito per la caccia al canguro, all'ippopotamo e alla vacca marina non lasciavano che il tempo che trovavano. Da qualcosa però occorreva cominciare e cominciò con la caccia al bisonte. Ma letta qualche pagina con attenzione, si rese conto che a andare avanti non faceva altro che perdere del tempo. Mentre infatti il bisonte andava in gruppo il lupo andava solo, e mentre il primo viveva all'aria libera il secondo viveva in una tana da cui usciva proditoriamente solo per dare il colpo e ritornare.
"All'inferno!" si disse il professore.
Stava già per smontarsi quando sentì sonare dentro di sé le trombe di Gedeone: era giunto alla tigre del Bengala.
Non era facile immaginare una coincidenza più perfetta tra i bassi istinti delle due fiere, le perfide intenzioni, la diabolica astuzia e le influenze malefiche ch'esse usavano esercitare sull'ambiente che le circondava.
Il professore si fregò le mani, bevve una tazza di vino caldo colla cannella e i chiodi di garofano, si armò di schioppo, borraccia, cannocchiale e cinque libbre di polvere di gesso, poi tra l'aspettativa generale prese la via del bosco.
I paesani rimasero riuniti in piazza guardando il sole che si levava e poi le ombre che rimpicciolivano e poi le ombre che si allungavano fino a confondersi colla notte. E quando videro il professore di ritorno facendosi lume coi fiammiferi gli corsero incontro.
"Avete preso il lupo?"
"L'avete visto?"
"Gli avete messo il gesso sulla coda?"
Il professore li lasciò dire, soffiò sopra l'ultimo fiammifero e citò tutti pel giorno dopo.
"Dove vedrete un quadrato disegnato sull'erba con il gesso", ordinò, "vi ci fermate e armate una tagliuola. Dove vedrete una losanga ci tendete una rete. Dove vedrete un cerchio ci scavate una buca e la coprite con il fogliame. Dove vedrete una croce sono i varchi per cui è obbligato passare il lupo. Prendete una doppietta, la caricate a zero, l'assicurate a un albero, tirate fuori un gomitolo di spago, lo tendete attraverso il varco ed annodate un bandolo al grilletto che quando passa il lupo inciampa nello spago e . . . patatunfete, cade morto stecchito. Intesi?"
"Intesi."
I paesani partono, eseguono gli ordini e ritornano.
"Tutto fatto?"
"Sì."
Dopo due giorni, allo spuntar dell'alba, i paesani pieni d'entusiasmo vanno a cercare il cadavere del lupo. Quando tornano, uno ha una gamba rotta, uno la testa, un altro ha il sedere impallinato.
"E il lupo?"
"Macché lupo! Abbiamo preso un coniglio."
"Eh, be', pazienza!" Dice il professore. "Se non sarà per oggi sarà per domani. La pazienza è la virtù dei cacciatori."
I paesani tornano a perlustrare la zona e tornano intontiti dal sonno dopo un giorno e una notte di ricerche, enfiati dalle ortiche, sagrinati dai rovi.
"E il lupo?"
"Macché lupo! Abbiamo preso un agnello."
Il professore si rinchiude in casa, rivede i suoi appunti, studia la caccia al puma ed al giaguaro. A mali estremi estremi rimedi: sparge il verbasco nell'acqua delle fonti.
"Ah poveretti noi!" Si lamentano i contadini l'indomani.
"Le mie povere vacche avvelenate!"
"Le mie oche!"
"Il mio cane!"
"E il lupo?"
"Macché lupo! Ne avessimo visto almeno l'orma ci servirebbe di consolazione."
Chiunque si sarebbe arreso. Ma il professore era troppo invelenito con quell'idea di liquidare il lupo e timoroso d'essere colto tradendo i suoi principi democratici. Andò a frugare tra le sue carabattole, tirò fuori la bandiera nazionale, l'inalberò sul tetto di casa sua e chiamò tutti a raccolta generale.
"Volete il lupo impiccato in piazza?"
"Siii!"
"Allora tutti sotto a cooperare."
Uomini e donne, vecchi e bambini si spargono pei boschi armati di fucili e di randelli. Sudano sette camicie a battere i cespugli ed i felceti, si infiltrano nel folto della macchia, strisciano lungo i fossi, si calano nei burroni, bruciano le distese di ginepro. Alla sera chiudono il cerchio stanchi morti e non ci trovano che un leprotto rimminchionito dalla paura.
Ora bisogna sapere che sulle vette attorno a quel paese dove si spaccavano la folgori, ruggivano le acque dei torrenti e crescevano abeti più alti che la torre degli Asinelli, abitava un orso gigantesco ch'era capace di stritolare un toro tra le zanne e buttar giù una quercia con una spallata. Poiché tra i lupi e gli orsi non è mai corso buon sangue, questo lo sanno tutti, il professore pensò d'approfittarne, ...