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JEROME KLAPKA JEROME
Title:FANTASMA DELLA CAMERA AZZURRA (IL)
Subject:ENGLISH FICTION
IL FANTASMA DELLA CAMERA AZZURRA.
(Storia di mio zio).
- Non voglio impaurirvi- iniziò mio zio, con tono di voce particolarmente solenne, per non dire che faceva gelare il sangue nelle vene - e, se preferite che non ne parli, non lo farò, ma il fatto è che proprio questa casa, dove siamo ora riuniti, è infestata. - Non me lo dica! - esclamò Mister Coombes. - Che mi dice a fare di non dirglielo, se l'ho appena detto? ribatté lo zio, un po' stizzosamente. - Che assurdità, dice! Vi dico che questa casa è infestata. Regolarmente, la Vigilia di Natale, la Camera azzurra (dallo zio, chiamavano «Camera azzurra» la stanza vicina a quella dei bambini, perché quasi tutto il servizio da toletta era di quella sfumatura) è infestata dal fantasma di un criminale, un uomo che una volta uccise con un pezzo di carbone uno di quei cantanti che, a Natale, vanno di casa in casa. - Come fece? - chiese Mister Coombes, curioso, con impazienza. - Fu difficile? - Non so come fece- replicò lo zio,- non mi spiegò il procedimento. Il cantante si era messo in posizione proprio dentro l'entrata principale, e stava cantando una ballata. Si presume che, quando aprì la bocca per il «si bemolle», il criminale abbia lanciato il pezzo di carbone da una delle finestre e questo si sia infilato nella gola del cantante e l'abbia soffocato. - Bisogna essere un bravo tiratore, ma vale certamente la pena di provare - mormorò pensosamente Mister Coombes. - Ma quello non fu il suo unico crimine, ahimè! - aggiunse lo zio. - Prima, aveva ucciso un solista di cornetta. - No! - E' proprio un fatto vero? - esclamò Mister Coombes. - Certo che è un fatto vero - rispose lo zio, irritato: almeno, per quanto si possa parlare di «fatti» in casi di questo tipo. - Com'è pignolo, stasera. Le prove indiziarie erano schiaccianti. Il poveretto, il solista di cornetta, si trovava in questa zona da appena un mese. Il vecchio Mister Bishop, che allora gestiva il «Jolly Sand Boys», e dal quale ho saputo la storia, diceva di non aver mai visto un solista di cornetta più operoso e attivo. Il solista di cornetta conosceva solo due motivi, ma Mister Bishop diceva che quell'uomo non avrebbe potuto suonare con più di energia, né per più ore al giorno, se ne avesse conosciuti quaranta. I due motivi che suonava erano "Annie Laurie" e "Home, Sweet Home" e, per ciò che concerne l'esecuzione della prima melodia, Mister Bishop diceva che l'avrebbe capita anche un bambino. - Questo musicista, questo povero artista senza amici, aveva l'abitudine di venire regolarmente a suonare in questa strada, proprio qui di fronte, due ore ogni sera. Una sera, fu visto entrare proprio in questa casa, evidentemente in risposta a un invito, "ma non fu mai visto uscirne!" - I cittadini provarono a offrire una ricompensa per il suo ritrovamento? - chiese Mister Coombes. - Neanche mezzo penny - replicò lo zio. - Un'altra estate - continuò lo zio, - venne qui una banda musicale tedesca, che voleva (così annunciarono, al loro arrivo) fermarsi fino all'autunno. - Due giorni dopo il loro arrivo, tutta la compagnia, dei pezzi d'uomini così sani e vigorosi che faceva piacere guardarli, fu invitata a cena da questo criminale e, dopo aver passato a letto le ventiquattr'ore successive, lasciò la città: degli uomini finiti, gravemente ammalati di dispepsia. Il medico condotto, che li aveva assistiti, disse che, secondo lui, difficilmente anche uno solo di loro sarebbe stato in grado di suonare di nuovo un'aria. - Lei... lei non conosce la ricetta, vero? - chiese Mister Coombes. - Sfortunatamente no- replicò lo zio,- ma si disse che l'ingrediente principale fosse pasticcio di carne di maiale del buffet della stazione. - Ho dimenticato gli altri crimini di quest'uomo - continuò lo zio, - prima li conoscevo tutti, ma la mia memoria non è più quella di una volta. Non penso, comunque, di fare torto alla sua memoria se affermo che non fu del tutto estraneo alla morte, e poi al seppellimento, di un signore che suonava l'arpa con le dita dei piedi; e che non aveva la coscienza pulita neppure circa la tomba solitaria di un forestiero sconosciuto, che venne una volta in questa zona, un contadinello italiano, che suonava l'organetto. - Ogni anno, la Vigilia di Natale - disse lo zio in tono basso e solenne, rompendo lo strano silenzio sgomento che, come un'ombra, sembrava essersi lentamente infiltrato, furtivo, nella stanza, per poi avvolgerla completamente, - il fantasma di questo criminale infesta la Camera azzurra, proprio in questa casa. Là, da mezzanotte fino al canto del gallo, tra grida selvagge soffocate e gemiti e risate di scherno e il suono spettrale di orridi tonfi, sostiene una fiera lotta fantasma con gli spiriti del solista di cornetta e del cantante assassinato, aiutati, ogni tanto, dalle ombre della banda musicale tedesca, mentre il fantasma dell'arpista strangolato suona folli melodie spettrali, con le dita dei piedi fantasma, sullo spettro di un'arpa rotta. Lo zio disse che la Camera azzurra era praticamente inutile, come camera da letto, la Vigilia di Natale. - Ascoltate! - disse lo zio alzando una mano verso il soffitto, in segno di ammonimento, mentre noi trattenevamo il respiro e ascoltavamo. - Ascoltate! Credo che siano loro: "nella Camera azzurra!" Mi alzai, e dissi che io avrei dormito nella Camera azzurra. Prima di raccontarvi la mia storia, però, la storia di quel che capitò nella Camera azzurra, vorrei premettere... "una spiegazione personale".
UNA SPIEGAZIONE PERSONALE.
Sono molto incerto se raccontarvi o no questa mia storia. Vedete, non è una storia come le altre che vi ho raccontato o, piuttosto, che Teddy Biffles, Mister Coombes e mio zio vi hanno raccontato: è una storia vera. Non è una storia raccontata da un tale, seduto vicino al fuoco, la Vigilia di Natale, mentre beve ponce al whisky: è una testimonianza di avvenimenti davvero successi. Veramente, non è proprio una «storia», nel senso comune del termine: è una cronaca. Sento che è quasi fuori luogo, in un libro come questo. E' più adatta a una biografia, o a un libro di storia inglese. C'è un'altra cosa che mi rende difficile raccontarvi questa storia, e cioè, che è tutta su me stesso. Se vi racconto questa storia, dovrò continuamente parlare di me, e a noi autori moderni non piace per niente parlare di noi stessi. Se mai esiste un'aspirazione lodevole che abita sempre nell'animo di noi letterati della nuova scuola, questa è l'aspirazione a non apparire mai, anche se minimamente, egocentrici. Io stesso, così mi dicono, con questo riserbo, questa riluttanza, questa reticenza per tutto quello che riguarda la mia personalità, arrivo quasi a passare il segno, e la gente si lamenta con me, per questo motivo. Vengono e mi dicono: - Beh, allora, perché non parli un po' di te? E' di questo che vogliamo leggere. Dicci qualcosa di te. Ma io ho sempre risposto: - No. - Non perché non trovi interessante il soggetto. Io stesso non riesco a immaginare un argomento che abbia più probabilità di dimostrarsi affascinante per il mondo intero, o, almeno, per la parte colta di esso. Ma non lo farò, per principio. Non è artistico, e è un cattivo esempio per i giovani. Altri scrittori (alcuni di loro) lo fanno, ma io non lo farò; non regolarmente. In circostanze normali, quindi, non vi racconterei proprio questa storia. Direi a me stesso: «No! E' una bella storia, è una storia morale, è un genere di storia strana, bizzarra, affascinante, e al pubblico, lo so, piacerebbe conoscerla, e a me piacerebbe raccontargliela, ma è tutta su di me: su quello che ho detto, e quello che ho visto, e quello che ho fatto; e non posso farlo. La mia natura riservata, anti-egocentrica, non mi consentirà di parlare così di me stesso». Ma le circostanze specifiche di questa storia non sono normali e ci sono dei motivi che, malgrado la mia modestia, mi spingono, piuttosto, a essere grato dell'occasione di raccontarla. Come ho affermato all'inizio, sono nati dei disaccordi, in famiglia, su questa nostra festicciola, e a me in particolare, per la parte che avrei avuto negli avvenimenti che sono ora sul punto di riferire, è stato fatto molto torto. Per rimettere nella giusta luce la mia reputazione, per dissipare le nubi della calunnia e dell'incomprensione che l'hanno oscurata, sento che la miglior cosa che io possa fare è offrire un resoconto lineare e dignitoso dei fatti puri e semplici, e lasciare che chi è imparziale giudichi da sé. La mia intenzione principale, lo confesso francamente, è riscattarmi da ingiuste calunnie. Con questo motivo che mi sprona (e credo sia un motivo giusto e onorevole), penso di poter superare la mia abituale ripugnanza a parlare di me stesso, e, quindi, posso raccontare... "La mia storia".
LA MIA STORIA.
Non appena mio zio ebbe terminata la sua storia, come vi ho già detto, mi alzai e dissi che, quella stessa notte, IO avrei dormito nella Camera azzurra. - Mai!- gridò lo zio, balzando in piedi. - ...
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