DA "LE MILLE E UNA NOTTE"

Title:MILLE E UNA NOTTE (LE)
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LE MILLE E UNA NOTTE.
Racconti arabi raccolti da Antoine Galland.


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Mille e una notte

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Le cronache dei Sassanidi, antichi re di Persia, che avevano esteso il
loro impero nelle Indie, nelle grandi e piccole isole che dipendono da
esse, e molto più oltre, al di là del Gange fino alla Cina, dicono che
c'era una volta un re di quella potente dinastia che era il miglior
principe del suo tempo. Tanto egli si faceva amare dai suoi sudditi,
per la sua saggezza e la sua prudenza, quanto era temuto dai popoli
vicini, per la fama del suo valore e la reputazione delle sue truppe
combattive e ben disciplinate. Aveva due figli: il maggiore, di nome
Shahriar, degno erede di suo padre, ne aveva tutte le virtù: il più
giovane, di nome Shahzenan, non valeva meno del fratello.
Dopo un regno tanto lungo quanto glorioso, questo re morì e Shahriar
salì al trono. Shahzenan, escluso da ogni eredità per le leggi
dell'impero, e costretto a vivere come un privato, invece di essere
insofferente verso la fortuna del fratello, mise tutta la sua buona
volontà per piacergli. Non faticò molto a riuscirvi. Shahriar, che
aveva una simpatia naturale per quel principe, fu incantato dalla sua
docilità e, in un impeto di amicizia, volendo dividere con lui i suoi
Stati, gli regalò il regno della Grande Tartaria. Shahzenan ne prese
ben presto possesso e stabilì la sua residenza a Samarcanda, che ne
era la capitale.
Erano già passati dieci anni da quando i due re si erano separati,
quando Shahriar, volendo ardentemente rivedere il fratello, decise di
mandargli un ambasciatore che lo invitasse a fargli visita. Per questa
ambasciata scelse il suo primo visir che partì con un seguito degno
del suo grado e agì con la massima diligenza possibile. Quando fu
nelle vicinanze di Samarcanda, Shahzenan, avvertito del suo arrivo,
gli andò incontro con i più alti dignitari della sua corte che, per
rendere più onore al ministro del sultano, si erano tutti vestiti
sfarzosamente. Il re di Tartaria lo ricevette con grandi dimostrazioni
di gioia e, prima di tutto, gli chiese notizie del fratello. Il visir
accontentò la sua curiosità ed narrò il motivo della sua ambasciata.
Shahzenan ne fu commosso.
- Saggio visir, - disse, - mio fratello il sultano mi fa troppo onore
e non poteva propormi niente che mi fosse più gradito. Se egli vuole
vedermi, io sono animato dallo stesso desiderio. Il tempo, che non ha
affatto indebolito la sua amicizia, non ha ugualmente raffreddata la
mia. Il mio regno è tranquillo, e vi chiedo solo dieci giorni per
mettermi in condizione di partire con voi. Perciò, non è necessario
che entriate in città per così breve tempo. Vi prego di fermarvi qui e
di farvi alzare le vostre tende. Vado a dar ordine di portare
rinfreschi in abbondanza per voi e per tutte le persone del vostro
seguito.
Questo venne eseguito immediatamente: il re era appena rientrato a
Samarcanda, quando il visir vide arrivare una prodigiosa quantità di
ogni specie di provviste, accompagnate da squisitezze e da doni di
grandissimo pregio.
Frattanto Shahzenan, preparandosi a partire, regolò gli affari più
urgenti, istituì un consiglio che governasse il regno durante la sua
assenza e nominò capo di questo consiglio un ministro del quale
conosceva la saggezza e nel quale aveva piena fiducia. Dopo dieci
giorni, essendo pronti i suoi equipaggi, disse addio alla regina sua
moglie, uscì sul far della notte da Samarcanda e, seguito dagli
ufficiali che dovevano partecipare al viaggio, andò al padiglione
reale che aveva fatto innalzare vicino alle tende del visir. Si
intrattenne con lui fino a mezzanotte. Poi, volendo abbracciare ancora
una volta la regina che amava molto, ritornò solo al suo palazzo. Andò
dritto all'appartamento di quella principessa che, non aspettandosi di
rivederlo, aveva ricevuto nel suo letto uno degli ultimi ufficiali
della corte. Erano coricati già da molto tempo e dormivano tutti e due
di un sonno profondo.
Il re entrò senza far rumore, pregustando il piacere di sorprendere
col suo ritorno una sposa dalla quale si credeva teneramente amato. Ma
quale fu il suo stupore quando, alla luce delle fiaccole che durante
la notte non si spegnevano mai negli appartamenti dei principi e delle
principesse, vide un uomo nello sue braccia! Restò paralizzato per
qualche istante, non sapendo se doveva credere a ciò che vedeva. Ma,
non potendo dubitarne, si disse: "Come! sono appena fuori del mio
palazzo, sono ancora sotto le mura di Samarcanda e si osa
oltraggiarmi! Ah! perfida! il vostro crimine non resterà impunito.
Come re devo punire i misfatti commessi nei miei Stati; come sposo
offeso devo immolarvi al mio giusto risentimento". Infine, quel
disgraziato principe, cedendo al suo primo impulso, sguainò la spada,
si avvicinò al letto e con un sol colpo fece passare i colpevoli dal
sonno alla morte. Poi, prendendoli l'uno dopo l'altra, li gettò da una
finestra in un fossato che circondava il palazzo.
Dopo essersi così vendicato, uscì dalla città come vi era entrato e si
ritirò nel suo padiglione. Appena arrivato, senza dire a nessuno ciò
che aveva fatto, ordinò di levare le tende e di partire. In poco tempo
tutto fu pronto, e non era ancora giorno quando si misero in cammino
al suono dei timpani e di molti altri strumenti che suscitarono la
gioia di tutti tranne che del re. Quel principe, sempre pensando
all'infedeltà della regina, era in preda a una terribile malinconia
che non lo lasciò per tutto il viaggio.
Quando arrivò nelle vicinanze della capitale delle Indie, vide
venirgli incontro il sultano (1) Shahriar con tutta la sua corte. Che
gioia provarono quei principi rivedendosi! Misero entrambi il piede a
terra per abbracciarsi, e dopo essersi scambiati mille testimonianze
di tenerezza, risalirono a cavallo ed entrarono in città fra le
acclamazioni di una sterminata folla di popolo. Il sultano guidò il re
suo fratello fino al palazzo che aveva fatto preparare per lui. Questo
palazzo comunicava con il suo attraverso un giardino comune. Era un
edificio magnifico, tanto più che era destinato alle feste e ai
divertimenti della corte, e ne avevano ancora aumentato la bellezza
con nuovi arredamenti.
Shahriar lasciò il re di Tartaria per dargli il tempo di andare al
bagno e di cambiarsi d'abito. Ma, appena seppe che ne era uscito, andò
di nuovo da lui. Si sedettero su un divano e, poiché i cortigiani si
tenevano rispettosamente a distanza, i due principi cominciarono a
parlare di tutto quello che due fratelli, uniti ancora più
dall'amicizia che dal sangue, hanno da dirsi dopo una lunga
separazione. Arrivata l'ora di cena, mangiarono insieme; e dopo il
pasto ripresero la chiacchierata che durò finché Shahriar,
accorgendosi che la notte era molto inoltrata, si ritirò per lasciar
riposare il fratello.
Lo sfortunato Shahzenan si coricò: ma, se la presenza del sultano suo
fratello era stata capace di allontanare per un po' le sue pene,
queste si risvegliarono allora con violenza. Invece di godersi il
riposo di cui aveva bisogno, non fece altro che richiamare alla
memoria le più crudeli riflessioni. Tutte le circostanze
dell'infedeltà della regina si ripresentavano così vivamente alla sua
mente da farlo uscire di sé. Infine, non potendo dormire si alzò e,
abbandonandosi interamente a pensieri tanto tristi, sul suo viso
apparve un'ombra di tristezza che il sultano non mancò di notare. "Che
cosa ha dunque il sultano di Tartaria? - si diceva. - Chi può causare
questo dolore che gli vedo in viso? Forse ha motivo di lamentarsi
della mia accoglienza? No: l'ho ricevuto come un fratello che amo, e
su questo punto non ho niente da rimproverami. Forse rimpiange di
essere lontano dai suoi Stati o dalla regina sua moglie. Ah! se è
questa la ragione del suo tormento, è necessario che gli offra subito
i doni che gli ho destinato, perché possa partire quando vuole per
ritornare a Samarcanda". Infatti, fin dal giorno dopo, gli inviò una
parte di quei doni, costituiti da tutto quello che le Indie producono
di più raro, di più ricco e di più singolare. Non tralasciava, però,
di cercare di divertirlo ogni giorno con nuovi piaceri; ma le feste
più belle, invece di rallegrarlo, riuscivano solo ad accrescere le sue
pene.
Un giorno Shahriar aveva ordinato una grande caccia, a due giorni di
distanza dalla capitale, in un paese in cui si trovano soprattutto
molti cervi. Shahzenan lo pregò di dispensarlo dall'accompagnarlo,
dicendogli che lo stato della sua salute non gli permetteva di essere
della partita. Il sultano non volle forzarlo, lo lasciò libero e partì
con tutta la sua corte per quel divertimento. Dopo la sua partenza, il
re della Grande Tartaria, vedendosi solo, si chiuse nel suo
appartamento e si sedette vicino a una finestra che si affacciava sul
giardino. Quel bel posto e il cinguettio di un'infinità di uccelli che
ne avevano fatto il loro rifugio, gli avrebbero procurato piacere, se
fosse stato capace di provarlo: ma, sempre straziato dal ...