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GRIMM BRÜDER
Title:BIANCANEVE E ROSAROSSA
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Subject:GERMAN MISCELLANEOUS WRITINGS
Jakob Ludwig Karl Grimm - Wilhelm Karl Grimm
Biancaneve e Rosarossa
C'era una volta una povera vedova, che viveva sola nella sua capannuccia, e davanti alla capanna c'era un giardino con due piccoli rosai; l'uno portava rose bianche, l'altro rose rosse. E la donna aveva due bambine, che somigliavano ai due rosai: l'una si chiamava Biancaneve, l'altra Rosarossa.
Erano così buone e pie, diligenti e laboriose, come al mondo non se n'è mai viste; soltanto, Biancaneve era più silenziosa e più dolce di Rosarossa.
Rosarossa preferiva correre per campi e prati, coglier fiori e prendere farfalle; Biancaneve se ne stava a casa con la mamma, l'aiutava nelle faccende domestiche, o, se non c'era niente da fare, le leggeva qualcosa ad alta voce. Le due bambine si amavano tanto, che si prendevano per mano tutte le volte che uscivano insieme; e se Biancaneve diceva: "Non ci separeremo mai!", rispondeva Rosarossa: "No, mai, per tutta la vita!", e la madre soggiungeva: "Quel che è dell'una, dev'esser dell'altra".
Spesso le due bambine andavan sole per il bosco a raccoglier bacche rosse; gli animali non facevan loro alcun male, ma si avvicinavano fiduciosi: il leprotto mangiava una foglia di cavolo dalle loro mani, il capriolo pascolava al loro fianco, il cervo saltava allegramente li vicino, e gli uccelli restavano sui rami e cantavano tutte le loro canzoni. Alle due sorelle non capitava nulla di male: quando si erano attardate nel bosco, e le sorprendeva la notte, si coricavano sul muschio, l'una accanto all'altra, e dormivano fino alla mattina; la mamma lo sapeva e non stava mai in pensiero. Una volta, che avevano pernottato nel bosco, quando l'aurora le svegliò, videro un bel bambino seduto accanto a loro, con un bianco vestito scintillante. Il bimbo si alzò e le guardò amorevolmente, ma non disse nulla e s'addentrò nel bosco. E quando si guardarono intorno, s'accorsero di aver dormito sull'orlo di un abisso, dove sarebbero certo cadute se avessero fatto altri due passi al buio. Ma la mamma disse che certo quello era l'angelo che veglia sui bambini buoni.
Biancaneve e Rosarossa tenevan così pulita la capannuccia della madre, che era una gioia vederla. D'estate Rosarossa sbrigava faccende di casa e ogni mattina, prima che la mamma si svegliasse le metteva vicino al letto un mazzo di fiori, con due rose dei due alberelli. D'inverno Biancaneve accendeva il fuoco e appendeva paiolo; il paiolo era d'ottone, ma brillava come oro, tant'era lustro La sera, quando nevicava, la mamma diceva: "Va', Biancaneve metti il catenaccio". Poi sedevano accanto al focolare, la mamma prendeva gli occhiali e leggeva ad alta voce un librone; e le due fanciulle stavano a sentire, filando; per terra, accanto a loro, e sdraiato, c'era un agnellino, e dietro, su un bastone, c'era un piccioncino bianco con la testa nascosta sotto l'ala.
Una sera, mentre se ne stavano tutte e due insieme, qualcuno bussò alla porta, come se volesse entrare. La madre disse: "Svelta, Rosarossa, apri: sarà un viandante che cerca ricovero".
Rosarossa andò a levare il catenaccio e pensava che fosse un povero; ma invece era un orso, che sporse dall'uscio la sua grossa testa nera. Rosarossa strillò e fece un salto indietro, l'agnellino belò, il piccioncino svolazzò, e Biancaneve si nascose dietro il letto della mamma. Ma. l'orso si mise a parlare e disse: "Non abbiate paura, non vi farò niente di male; sono mezzo gelato e voglio soltanto scaldarmi un po' con voi".
"Povero orso," disse la madre "mettiti vicino al fuoco e bada soltanto di non bruciarti il pelo".
Poi gridò: "Biancaneve, Rosarossa, venite fuori! L'orso non vi farà niente, non ha cattive intenzioni".
Allora s'avvicinarono entrambe; e a poco a poco si accostarono anche l'agnellino e il piccioncino, e non ne avevano più paura.
L'orso disse: "Bambine, scuotetemi un po' di neve dalla pelliccia!", ed esse andarono a prender la scopa e gli spazzarono il pelo; e l'orso si sdraiò accanto al fuoco, e mugolava, contento e soddisfatto. Non andò molto che fecero amicizia, e le bimbe si misero a fare il chiasso con l'ospite maldestro. Gli tiravano il pelo con le mani, gli mettevano i piedini sulla schiena e lo spingevano di qua e di là; o prendevano una verga di nocciolo e lo picchiavano, e quando mugolava ridevano. L'orso s'adattava a tutto; soltanto, quando passavano il segno, gridava:
"Lasciatemi vivere, bambine!
O Biancaneve, e tu, Rosarossa,
al pretendente scavi la fossa".
Quando fu tempo di dormire e le bimbe andarono a letto, la madre disse all'orso: "Resta qui, accanto al fuoco, in santa pace: così sei protetto dal freddo e dal brutto tempo".
Appena albeggiò, le due bambine lo fecero uscire ed egli entrò nel bosco, trottando sulla neve.
E poi, tornò ogni sera, alla stessa ora: si sdraiava accanto al focolare e permetteva alle bambine di prendersi spasso di lui fin che volevano; ed esse ci si erano così abituate, che non mettevano il catenaccio prima che fosse arrivato il loro nero amico. Quando giunse la primavera e fuori era tutto verde, una mattino l'orso disse a Biancaneve: "Adesso devo andar via, e per tutta l'estate non posso più tornare".
"Dove vai dunque, caro orso?" domandò Biancaneve.
"Devo andare nel bosco a difendere i miei tesori dai cattivi nani: d'inverno, quando la terra è gelata, devono stare sotto e non possono farsi strada, ma adesso che il sole ha sgelato e riscaldato la terra, l'aprono a forza, risalgono, frugano e rubano. Quel che finisce nelle loro mani, nascosto nelle loro caverne, non torna tanto facilmente alla luce".
Biancaneve era tutta triste per quell'addio; e quando gli aprì la porta, l'orso, passando in fretta, restò attaccato all'arpione e gli si lacerò un pezzo di pelle; e a Biancaneve parve che ne trasparisse dell'oro, ma non ne fu ben sicura. L'orso corse via in fretta e ben presto sparì dietro gli alberi. Dopo qualche tempo, la madre mandò le bambine nel bosco a coglier la stipa.
Fuori videro, disteso al suolo, un grande albero: era stato abbattuto, e presso il tronco, nell'erba, qualcosa saltava su e giù, ma non potevano distinguere cosa fosse. Avvicinandosi, videro un nano con una vecchia faccia grinzosa e una candida barba lunga un braccio. La punta della barba era incastrata in una fessura dell'albero e il nano saltava di qua e di là, come un cagnolino al guinzaglio, e non sapeva come cavarsela. Egli fissò le fanciulle sbarrando i suoi rossi occhi di fuoco, e strillò: "Cosa state a fare non potete avvicinarvi e darmi una mano?".
"Cos'hai fatto, omino?" domandò Rosarossa.
"Stupida curiosaccia," rispose il nano "volevo spaccar l'albero, per avere legna minuta in cucina; i ceppi grossi, quei due bocconcini che occorrono a noialtri, li bruciano subito; noi non buttiamo mica giù tanta roba come voi, ingordi zoticoni! Ero già riuscito a ficcarci il cuneo, e tutto mi sarebbe andato benone; ma quel maledetto pezzo di legno era troppo liscio e saltò fuori all'improvviso, e l'albero si richiuse così in fretta, che non ho più potuto tirar fuori la mia bella barba bianca: adesso è lì dentro, e io non posso andarmene. Guarda come ridono quelle due poppanti! stupide facce pelate! Puh, come siete brutte!".
Le bambine ci si misero d'impegno, ma non riuscirono a tirar fuori li barba: era troppo ben incastrata.
"Correrò a chiamar gente!" disse Rosarossa.
"Stupide pazze," squittì il nano "non ci mancherebbe altro! Siete già troppe in due: non avete niente di meglio da inventare?".
"Non essere impaziente!" disse Biancaneve; "ci penserò io". Trasse di tasca le sue forbicine e gli tagliò la punta della barba. Appena il nano si sentì libero, afferrò un sacco pieno d'oro, che era nascosto fra le radici dell'albero, lo tirò fuori, borbottando: "Che villanzone, tagliarmi un pezzo della mia magnifica barba! Il diavolo vi porti!".
Si gettò il sacco sulle spalle e se ne andò, senza neanche voltarsi a guardarle.
Dopo qualche tempo, Biancaneve e Rosarossa pensarono di andarsi a pescare con la lenza un bel piatto di pesce. Quando furono vicino al ruscello videro qualcosa che somigliava a una grossa cavalletta saltellar verso l'acqua, come se volesse buttarcisi. Accorsero e conobbero il nano. "Dove vuoi andare?" disse Rosarossa "non vuoi mica gettarti in acqua?".
"Non sono così pazzo!" strillò il nano. "Non vedete? quel maledetto pesce vuol tirarmi dentro!"
L'omino si era seduto a pescare, e disgraziatamente, per il vento, la barba gli si era intricata con la lenza; subito dopo abboccò un grosso pesce e la debole creatura non riuscì a sollevarlo. Il pesce aveva il sopravvento e trascinava giù il nano. Certo, egli si teneva a tutti gli steli e ai giunchi, ma serviva a ben poco: doveva seguire i ...
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