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FRANKLIN LESLIE
Title:MIEI AMICI ORSI (I)
Subject:FICTION
ROBERT FRANKLIN LESLIE.
I MIEI AMICI ORSI.
La delicata e commovente storia
di un'insolita amicizia
tra uomo e animale,
due mondi che s'incontrano
e che la violenza tornerà a dividere.
Capitolo 1
VISTO SUL MAPPAMONDO, il 55° parallelo costituisce esattamente la
linea geografica centrale della Columbia Britannica. Nel tagliare il centro della provincia, questo immaginario divisore
attraversa il lago Babine, uno specchio d'acqua di un azzurro intenso e
di forma allungata, lungo duecento chilometri. Le verdi e ombrose
foreste che fiancheggiano le rive del lago s'innalzano maestose in una
serie di pendii ondulati a lambire le pendici dei monti Babine, una terra
impenetrabile e selvaggia di abeti e tsughe.
Nella sua parte meridionale, il lago si estende quasi perfettamente da
oriente a occidente; quindi si allarga, protendendosi a nord per centododici chilometri. Nella punta piú settentrionale, una stretta striscia di
sabbia luccicante e cristallina separa la scura foresta verde dalla scura
distesa d'acqua blu. In quel punto, visto dalla riva, il lago Babine
appare come un ampio fiume serpeggiante.
Felce Rossa, il mio amico della tribú del Castoro, possedeva una
capanna di tronchi appollaiata come un nido sul Nugget, un
torrente che sfocia sulla sponda occidentale del lago, a un giorno e
mezzo di canoa - in assenza di venti contrari - dal punto di scambio di
Topley Landing. Durante i lunghi tramonti estivi di quelle regioni settentrionali, ero solito distendermi in un'amaca sulla veranda della
capanna e osservare alci e orsi che nuotavano su e giú per il lago.
Mentre Felce Rossa era a Pendleton Bay, impegnato nel taglio e nel
trasporto stagionale della legna, mi permetteva di usare la capanna in
cambio di un quartO che fossi riuscito a setacciare nel Nugget.
Cercavo, in questo modo, di guadagnarmi il denaro sufficiente per terminare l'università.
Un pomeriggio di giugno inoltrato, stavo pescando tranquillamente
da uno sperone roccioso che sovrasta il punto dove il Nugget confluisce
nel lago Babine, quando due cacciatori bianchi comparvero improvvisamente a bordo di un piccolo motoscafo rumorosissimo. La brezza arruffava leggermente l'enorme mucchio di pelli al centro dell'imbarcazione,
muta testimonianZa di una vittoriosa battuta di caccia all'orso. Una
guida indiana del lago Burns aveva accompagnato in quel mese almeno
due gruppi di cacciatori e pescatori.
La barca aveva appena doppiato la punta, quando tre cuccioli d'orso
bruno, non piú grandi di un orsacchiotto di pezza, seguiti da un'orsa tutta
pelle e ossa, uscirono ansimando dal bosco. I quattro animali corsero verso
la spiaggia, si tuffarono nei bassi fondali in cui stavo pescando, schizzando
acqua tutt'intorno, e mi si piazzarono davanti, implorando una parte del
mio pescato. La barca dei cacciatori era ancora in vista.
« Tornatevene nei boschi, sciocchi ! » gridai.
Spaventati dal mio sbracciare, gli orsi cercarono rifugio in un
boschetto di salici pochi metri sopra il ruscello. Dal gran movimento di
foglie e dal rauco mugolio proveniente dalla boscaglia, pareva chiaro
che la vecchia femmina aveva qualche difficoltà a imporre la disciplina,
ma alla fine, fradici ed esausti, i cuccioli acconsentirono a rifugiarsi su
un ramo di un gigantesco abete coperto di muschio, a una trentina di
metri da terra. Di lassú osservarono i cacciatori che scendevano lungo il
lagomentre la vecchia orsa se ne stava accovacciata, vigile, sotto di
loro. Ogni volta che le lanciavo un pesce, gli orsacchiotti affamati
mugolavano, emettendo suoni rauchi e gutturali, simili al verso dei
gabbiani, ma l'orsa, impassibile, proibiva loro di scendere.
Impegnato ad acchiappare quanti piú pesci possibile di un banco
particolarmente numeroso di trote arcobaleno che pensavo di affumicare con legno di acero, continuai a pescare fino al tramonto e, tranne
che per uno sguardo fugace alla cima dell'albero, non feci piú caso alla
vecchia orsa e ai tre piccoli batuffoli neri che mugolavano sul ramo.
Quella sera, mentre mi attardavo a contemplare il crepuscolo seduto
sull'ultimo gradino della veranda, mi domandai per quale motivo i cuccioli non fossero scesi dal ramo e corsi via, dovunque vadano normalmente tutti i piccoli orsi con i loro genitori. Comunque quello non era
affar mio e non avevo nessuna intenzione di interferire.
Quella vecchia orsa gentile non mi era sconosciuta, poiché in passato
le avevo già lasciato fuori della capanna qualche avanzo di cibo e, in
verità, mi sembrava troppo vecchia per essere la mamma dei piccoli. La
loro vera madre era stata probabilmente uccisa e la femmina piú
anziana doveva aver adottato gli orfani, cosí come accade quasi sempre
agli orsetti abbandonati.
Ma i cuccioli nati da parti trigemellari sono piú piccoli delle normali
coppie e restano con la madre per due periodi di letargo, anziché uno, e
purtroppo la vecchia orsa, ormai lenta e piena di acciacchi, non possedeva la resistenza necessaria a sopportare per due anni la responsabilità
dei tre piccoli.
Quante volte negli anni successivi mi è tornato alla mente ciò che fece
quell'orsa veneranda! Quasi trascinandosi sulla pancia, si avvicinò al
portico e si sedette di fronte a me. Muovendo la testa avanti e indietro
ed emettendo dolci suoni gorgoglianti dal fondo della gola, continuava a
spostare lo sguardo da me ai cuccioli, che se ne stavano al sicuro sull'albero, come se volesse trasmettermi qualche messaggio, valicando l'insuperabile barriera tra uomo e animale. Infine, dopo aver lanciato attorno
un'ultima occhiata indagatrice, emise una serie di patetici mugolii, si
alzò e si avviò con passi rigidi lungo il sentiero di caccia che s'inoltrava nella foresta. Non c'erano dubbi: stava abbandonando i tre poveri
cuccioli.
La luna sorse sopra i monti Omineca e una saetta di oro giallo attraversò il lago. Un lupo ululò di lontano, nel bosco, e un altro gli rispose.
Erano quasi le dieci e mezzo; il sole era tramontato velocemente dietro i
monti Babine e io mi coricai. Non riuscivo tuttavia a scacciare dalla
mente il pensiero di quei cuccioli. E se avessero avuto fame! continuavo
a pensare. Speravo che mi avrebbero risolto il problema seguendo le
orme della vecchia orsa prima che facesse giorno.
Il sole non era ancora spuntato da dietro il profilo dentellato dei
monti Omineca, quando uscii di corsa dalla capanna, assalito da sensi di
colpa, puntando dritto verso l'abete sopra il Nugget. Tre paia di occhi
neri luccicanti, incastonati entro tre batuffoli di pelliccia accoccolati sul
ramo piú basso, mi scrutavano. Le minuscole creature erano ancora lí,
scese a una decina di metri dal suolo per poter trascorrere la notte piú
comodamente sulla piatta inforcatura di un grosso ramo.
Tornai alla capanna e misi sul fuoco una pentola di pappa di frumento, cui aggiunsi un'abbondante razione di miele e una scatola di
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latte in polvere - tutti generi preziosi nella capanna sul Nugget. Divisi la
pappa in tre ciotole, le posai vicino all'abete e mi allontanai di qualche
passo, restando in attesa.
Non appena i tre cuccioli fiutarono il profumo del miele ebbe inizio
un'accesa baruffa, condita di mugolii, zampate e ringhi: nessuno dei tre
voleva evidentemente essere il primo a scivolare giú dal tronco e a
mangiare di fronte a quello sconosciuto con la barba. La pappa era ormai
fredda quando infine il trio cedette alla fame e scese dall'albero. Senza
togliermi lo sguardo di dosso neanche per un secondo, divorarono con
rumorosi grugniti la colazione, leccarono le ciotole fino a ripulirle completamente e quindi riguadagnarono il sicuro rifugio sul ramo.
Iniziai cosí il mio lavoro sul fiume. Dopo aver spalato la melma
sabbiosa dentro un lungo colatoio munito di saracinesca e aver sollevato
quest'ultima per far defluire l'acqua attraverso il condotto, rimuovevo
la ghiaia piú pesante con le mani, lasciavo scorrere via la melma e
filtravo quindi la sabbia rimasta attraverso un setaccio, per vedere se
qualche frammento di oro fosse rimasto intrappolato durante quella
noiosa operazione. I cercatori d'oro passano lunghe ore solitarie impegnati in un lavoro faticoso e frustrante e a volte i giorni diventano
settimane senza che la benché minima traccia d'oro li ripaghi di tanti
sforzi.
Quella sera, alle sette, avevo guadagnato meno di un dollaro! Mentre
meditavo sulla povertà della concessione mineraria di Felce Rossa
avvertii un'improvvisa nostalgia dei miei genitori e della mia casa, nella
California meridionale.
I cuccioli erano stati completamente cancellati dai miei pensieri quand'ecco che, lungo il sentiero che portava alla capanna, ebbi la vaga
sensazione di essere seguito. Mi girai e scoprii i tre orsetti che timidamente mi venivano dietro, in fila indiana, quasi in punta di piedi, con le
piccole orecchie rotonde appiattite all'indietro come cagnolini. Passando davanti all'abete, raccolsi le ciotole e proseguii verso la capanna.
I tre cuccioli mi tallonavano, mantenendosi a una discreta distanza e
bofonchiando chissà quali discorsi, in un borbottio sommesso che stava
a metà tra uno squittio e un grugnito. Mi pare ancora di vederli, mentre
si siedono in fila ordinata sul bordo della veranda e alzano gli occhi
verso di me, con quell'inconfondibile e patetica invocazione d'aiuto
comune a ogni orfano cosciente della propria situazione.
Andai al capanno dove affumicavo il pesce e presi tre grosse trote. Ne
misi una in ogni ciotola e le posai vicino alle scale, abbastanza lontane
però da far capire ...
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