AUTORI VARI (YEMA)

Title:I bambini nascono come le poesie - Il principe senza coda
Subject:DRAMA Scarica il testo


I bambini nascono come le poesie
Davide Rondoni

°***°***°***°

Atto unico.

°***°

Personaggi

Un dottorclown

Uno studente.

°***°***°***°

Sapete una cosa?
C’è un posto, una specie di grande casa, che è una scuola molto importante. Una scuolona. Si chiama: università. In questa scuolona detta università vanno i ragazzi giovani per diventare bravi nei mestieri che faranno da grandi. Nell’università ci sono dei professoroni, che insegnano ai ragazzi a diventar bravi. Ma come fanno a sapere se un ragazzo dopo che è andato a lezione per qualche mese sa veramente cosa deve sapere? Fanno una cosa chiamata esami. Che funzionano così. Il professorone chiede a un ragazzo: parlami di questo argomento che hai studiato, per esempio come mangiano le capre, oppure come camminano le zebre, o come si grattano il muso i gatti o i bambini. Se il ragazzo lo sa, passa. Dove va? Va avanti, per dare nuovi esami, diventar più bravo fino a che alla fine di tutte le promozioni arriva alla laurea. Che non è una persona. Laurea, mica Laura. La laurea è un bel foglio di carta su cui è scritto: Bravo, sei diventato un buon ingegnere, o un buon medico, o un buono storico. Insomma, è una scuolona molto importante l’università.
Beh, sapete una cosa?
Un giorno è successo un esame proprio strano. Una scena così non si era mai vista.
La volete sapere?
Eccola, ve la racconto. Con un po’ di fantasia la potete immaginare. Per esempio. Immaginate: una stanza grande, un tavolo, una sedia. Sulla sedia c’è lui, il Professorone che tra un po’ sentiremo parlare. Di là dal tavolo in piedi si metterà lo Studente. Anche lui tra poco lo sentiremo parlare.

Il Professorone è un signore con camice da medico impeccabile. Però, a ben guardare, c’è qualcosa in lui di strano. Mmmm. Ah, ma ha delle scarpe che ricordano quelle dei clown. Un po’ troppo lunghe e lievemente ricurve all’insù. Sono un po’ vecchine e il colore, un tempo marrone lucido, ora è diventato rossastro. Così lui pensa di essere elegante, ma sembra un clown.
È a sedere e attende che arrivi il prossimo studente da esaminare.

Professorone: Questi ragazzi sono abbastanza somari. Da uno a dieci, direi… tredici.
Hanno studiato, studiato, studiato… ma non capiscono niente. Oppure capiscono, capicono, capiscono… ma non hanno studiato niente.
Ma qui, perdinci, è la scuola dei dottori, l’università! Da qui devono uscire i dottori del futuro, quelli che scopriranno il modo per debellare, per cancellare le malattie dell’umanità, quelli che opereranno negli ospedali, che ti visiteranno negli ambulatori, ti metteranno l’orecchio al petto e diranno trentatrè, ti mettranno le mani sulla pancia, le dita nelle orecchie, ti tireranno fuori la lingua, ti tireranno giù le palpebre, ti guarderanno fin dentro, le tonsille, ti faranno far la piroetta, falla un’altra volta, fai la giravolta, guarda in su…ti metteranno magari (sob!) una supposta!
E non è meglio dunque che siano ben preparati?!
Non temete, son qua io, dottor professor ridottor riprofessor Lapislazulo Pislazuli.
Che c’è? Non vi va bene il mio nome? Beh, ve lo tenete lo stesso, come me lo son tenuto io. Del resto, sapete, la mia famiglia era di gioiellieri, tagliavano le pietre preziose. Ed erano così attaccati al lavoro, ma così attaccati, ma proprio appiccicati! Che mi ha chiamato così. A me Lapislazulo, a mio fratello Smeraldo, a mia sorella Gemma, e alla mia sorellina, un po’ a corto di fantasia, l’han chiamata: Passami-la-lima-che-sbuccio-sta-pietruzza. Si è abituata, cosa volete. Ci son voluti quarantasette anni, ma si è abituata e ora se qualcuno la chiama per la strada non sviene più.
Erano così attaccati al lavori i miei, così attaccati, appiccicati, impastati, proprio impegolati. Lavoravano sempre. Praticamente chi li ha mai visti. Beati i bimbi che hanno i genitori che giocano con loro, che a casa ogni tanto possono saltare sul babbo, giocare a far le facce con la mamma… Io, invece… Loro sempre a lavorare, a far smeraldi, gemme, a passarsi la lima, a limare lapislazuli… E noi a casa a guardare le ombre sul muro che erano i nostri cartoni animati. Sapete, allora non c’erano tutte queste videocassette, i film… e io che ero il più grande mi mettevo controluce a fare gli animali con le dita.
(Gira la lampada da tavolo ed esegue qualche trucco con le mani facendo strane ombre sul muro…)
Ma, via, riprendiamo a far gli esami a ‘sti somaroni.
(Grida)
Avanti il prossimo!

(Entra un ragazzetto un po’ smunto, timido)

P: Buongiorno.

D: Buondì. Lei chi è?

P: Sono il prossimo.

D: Cominciamo bene. Ho capito che lei è il prossimo, ma volevo dire chi è, come si chiama.

P: Mi chiamo proprio Il prossimo. Il prossimo di nome e Giacobazzi di cognome.
Vede, i miei genitori erano impiegati alle poste, stavano allo sportello, e tutto il giorno con la fila davanti dovevano chiamare “il prossimo, il prossimo”.
Allora, per abitudine, m’han chiamato così. Così non si sconfondevano. Erano così attaccati al lavoro, poverini. Ma così attaccati…

D: Anche loro…

P: Poi mi dicevano: è un nome che ti sarà utile nella vita, proprio dal lato pratico: quando sei in banca, alle poste, oh, anche al gabinetto pubblico. In fondo uno che si chiama Gino, o Alberto o Rosetta o Katy, cosa se ne fa? Invece: Il prossimo, che nome pratico! Utile!
E poi mi dicevano: suona bene, in fondo somiglia a tanti nomi. Per esempio a Massimo. Massimo – Il prossimo: è quasi uguale, lo stesso suono. Circa.

D: Circa. E ne sono di famiglie bizzarre, eh caro…

P: Lei ne conosce di altri, che han fatto una stramberia simile?

D: Ehm, ehm, non proprio così, però… ma veniamo a noi, caro giovane.

P: Dove andiamo?

D: Come dove andiamo?

P: No, lei ha detto, mi pare, veniamo, andiamo a…

D: Ma no, ma no, caro, non si faccia prendere dall’emozione. Veniamo a noi, a noi. Cominciamo. Io sono buono e comprensivo verso i giovani, specie quelli che si emozionano. Un esame è sempre un esame. Ma con quelli che fanno i furbi divento una bestia, diven…

P: Ah, sì? E che bestia diventa?

D: …Come: che bestia?

P: No, dico, diventa un coccodrillo, un gorilla, un paguro, un tacchino?

D: Ma cosa dice?

P: È lei che ha parlato di diventare una bestia e io mi informavo su…

D: Basta. Divento una bestia è un modo di dire. Vuol dire che mi arrabbio, perdo le staffe, esco dai gangheri, mi saltano i nervi, perdo il lume della ragione, mi trasformo, mi salta la mosca al naso, m’imbufalisco…

P: Ellapeppa! Quante cose le succedono quando s’arrabbia. ‘na faticaccia! Non le conviene… si rilassi. Forse deve farsi vedere da un buon dottore…

D: Io sono un buon dottore, caro giovane! E ora, mi ascolti, io non sono qui per fare chiacchiere, ma esami. Esami durissimi.

P: Dica, professore, sono tutto orecchie. Ecco, lei immagini di avere qui davanti solo un grande orecchio, un orecchio alto un metro e settanta, niente occhi, niente mani, gambe, niente, solo un grande orecchio che…

D: Ho capito, la pianti, che mi fa anche un po’ schifo pensarlo.
Allora badi bene, apra bene le or… beh, lasciamo perdere. Le farò una domanda sola. Una. Se lei risponde bene, ce l’ha fatta e diventa il prossimo dottor… insomma il dottore Il prossimo. Sennò lei resta il prossimo somaro.

P: La sento forte e chiaro.

D: Allora. Mi parli di come nascono i bambini, voglio dire da dove vengono, come si formano nella pancia della mamma e come vengon fuori.

P: Eeeeh, ma è troppo facile!
(ormai P ha perso la timidezza dell’inizio, prende il D per il collo e sollevandosi sulla sedia se lo tira vicino in un abbraccio)
Grazie, grazie, dottore

D: Ma grazie di cosa? E mi molli, per favore!

P: Lei è un tesoro. Farmi una domanda così facile! Grazie, grazie, lei sarà per me come un babbo! La ricorderò sempre come un babbo. Anche quando lei sarà morto e di lei non si ricorderà più nessuno, io la terrò nel mio cuore. Posso chiamarla babbo?

D: Ma cosa sta dicendo? Macché babbo e babbo. Stia seduto e risponda, che è una domanda tutt’altro che facile! Ci sono molte nozioni da possedere, questioni di genetica, di chimica, di ginecologia, andrologia, ostetricia, neonatologia… La nascita dei bimbi è una cosa meravigliosa e delicata, complicata e stupefacente.

P: Mavvà che è facile. Glielo dico in due parole.

D: In due parole? Ci pensi bene.

P: Ci ho pensato benissimo. E vedrà che lei sarà d’accordo con me, e saranno d’accordo tutti quelli che stanno ascoltando.

D: A me non mi sembra che sia nessuno. Ma mi dica, mi dica. Così se dice fesserie chiamo Il prossimo.

P: Eccomi.

D: Eeeh-eeh! Insomma, ha capito, non tergiversi!

P: Vabbene, glielo dirò: i bambini nascono come le poesie.

D: (deciso, verso la porta) Avanti il prossimo.

P: Ma no, ascolti. Poi ...