UGOLOTTI BRUNO

Title:LE ELEZIONI
Subject:FICTION Scarica il testo


LE ELEZIONI

Da “La Sala degli Specchi”

di Bruno Ugonotti

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In un paese c'era un Sultano. Stanchi di prepotenze, i sudditi lo cacciarono via, formarono due partiti e fecero le elezioni. Come in tutti i paesi di questo mondo, gli attivisti dell'uno e l'altro bando cercavano di accattivarsi la simpatia degli elettori con ogni mezzo lecito ed illecito: passeggiavano coi cartelloni per le strade, arringavano il popolo, si presentavano alla televisione, pubblicavano articoli sui giornali, imbrattavano le pareti, facevano a cazzotti, ricorrevano ai patti neri e alla calunnia.
Mentre peró gli uni ripetevano sempre noi faremo, noi costruiremo, noi vi daremo questo o l'altro, i secondi si limitavano a dire voi farete, voi costruirete, voi vi procurerete questo o l'altro se vi ci metterete di buona volontá e investirete bene i vostri soldi. Si impegnavano solo a mantenere l'ordine, provvedere ai servizi indispensabili e amministrare in modo imparziale la giustizia.
La gente, é naturale, da quell'orecchio ci sentiva poco. Mettersi a lavorare come gli asini ed arrischiare il proprio capitale non é mai stato allettante per nessuno. Meno ancora per gli abitanti di quel paese i quali credevano che Allah avesse inventato il lavoro per castigarli e il denaro per spenderlo in divertimenti. Se buoni e volonterosi camerati s'erano offerti di prendersi sul gobbo le loro rogne, e per di piú farli ricchi, che cosa mai potevano chiedere di meglio?
Cosí il primo partito vinse abbondantemente le elezioni.
Ci furono cerimonie, giuramenti, sfilate e musica in piazza. E gli elettori a fare salti d'allegria perché d'allora innanzi, grazie alle buone intenzioni dei vincitori, si aspettavano la pappa cotta, la casa propria, l'automobile alla porta e i soldi in tasca.
Grandi progetti vennero annunziati. Ad uno ad uno i nuovi ministri si presentarono alla televisione e li illustrarono nei minimi dettagli col gesso, la lavagna e la carta geografica. Essi avrebbero trasformato quel paese da povero com'era in uno dei paesi piú ricchi della terra.
Tutto era dunque fede e contentezza quando gli elettori si videro arrivare senza previo avviso il conto delle tasse duplicato, triplicato e in certi casi quadruplicato. Le somme che il contribuente non avesse pagato in tempo utile sarebbero aumentate con gli interessi, tanto che dopo un poco il poveraccio avrebbe dovuto vendere la camicia o andare in carcere.
Gli elettori nominano una commissione. La commissione va dal Presidente.
"Eccellentissimo, qui si comincia male: chi faceva tre pasti ne fa due, chi ne faceva due ne fa uno solo, e chi poteva pagare i servizi del dentista ora debe tenersi il mal di denti."
"Per me é sempre un onore conversare coi miei concittadini", dice democraticamente il Presidente. "Venite nel mio salone di lavoro e vi faccio vedere."
Entrano in un salone da fantascienza zeppo di professori, ingegneri, disegnatori, stenotattilografe, calcolatrici, cervelli elettronici e macchine distributrici della Coca Cola. Il Presidente apre le camere blindate e tira fuori i progetti. Ogni progetto porta un cartellino: un cartellino col preventivo. Acciaieria: cinquecento milioni di piastre. Elettricitá: mille. Petrolio e derivati: cinquemila. Import export: diecimila. E via dicendo che piú non si finiva.
La commissione rimane sbalordita.
"Ora sapete dove mettiamo i soldi telle tasse e spero che non avrete piú da lamentarvi" dice bonariamente il Presidente. "Concedeteci solo un po' di tempo e vedrete personalmente i risultati."
Fa un inchino.
"Venitemi a trovare qualche volta."
La commissione torna e spiega al popolo che il noi faremo e noi costruiremo non significava affatto pagheremo. Chi pagava era il popolo, e in questo non c'era molta differenza con ció che proponevano i rappresentanti dell'altro partito. La differenza era che non si correvano rischi personali e i risultati erano garantiti dallo Stato. Il denaro delle tasse, insomma, sarebbe ritornato nelle tasche dei contribuenti moltiplicato grazie ai vantaggi di vivere in una nazione divenuta ricca e potente. Bastava avere fiducia nello Stato e portare pazienza per un poco perché nemmeno Roma era stata fatta in un giorno..
Si va avanti cosí per un pezzo e i prezzi cominciano a lievitare. Crescono, crescono inesorabilmente. Gli elettori nominano una seconda commissione e questa va di nuovo dal Presidente.
"Eccellentissimo: con quello che spendiamo pei fiammiferi, prima ci facevamo la frittata. Compriamo un pollastrino siringato con l'acqua del rubinetto e non ci basta la paga d'una giornata di lavoro per pagarlo."
Il Presidente aggrottó subito la fronte.
"Un pollo siringato avete detto?"
Suona la campanella quattro volte ed appare il Ministro degli Interni.
"Organizzate una severa battuta pei mercati, confiscate i pollastri siringati e mettetemi al fresco i responsabili."
Fa un inchino.
"Venite a trovarmi di nuovo."
"Scusate l'insistenza, eccellentissimo", dicono quelli della commissione, "Ma a noi dei polli ce ne importa poco; la maggioranza ci ha giá dovuto rinunciare. Quel che ci preme é il prezzo del pane e dei prodotti di prima necessitá."
"Ah!" dice il Presidente. "Ci mettiamo rimedio subito."
Suona la campanella cinque volte e si presenta il Ministro del Lavoro.
"Riunite un comitato e un paio almeno di sottocomitati: studiate un buon aumento di salari e mettete il calmiere generale."
I risultati non si fanno attendere. Gli elettori nominano una terza commissione e questa si presenta al Presidente.
"Eccellentissimo: ora che circola qualche soldo piú del solito, la merce é sparita."
"Caspita!" esclama il Presidente.
Chiama i ministri del Commercio, l'Industria, l'Economia, la Giustizia.
"Preparatemi subito un decreto: é proibito chiudere le fabbriche e le botteghe, proibito licenziare il personale, proibito l'accaparramento, proibito vendere piú caro dei prezzi stabiliti dal calmiere sotto pena di morte per fucilazione."
Il popolo é al tappeto, le fabbriche sono in fallimento, la spazzatura copre i marciapiedi, le strade sono letti di fogna, la delinquenza imperversa ma a poco a poco i progetti si realizzano: l'acciaieria comincia a produrre l'acciaio, le centrali la corrente elettrica, le raffinerie il petrolio.
Il Presidente non stava nella pelle per l'orgoglio e fu lui, questa volta, che chiamó gli elettori.
"Avete visto?" disse trionfante. "Ogni promessa é debito."
Gli elettori lo stavano a guardare e non dicevano niente perché l'acciaio e le altre cose loro non le mangiavano, ma un briciolo di speranza ce l'avevano ancora.
Senonché, a conti fatti, risultó che l'acciaio e le altre cose venivano a costare il doppio che nei paesi vicini e in luogo di guadagni generavano perdite.
Gli elettori, alla disperazione, nominano un'ultima commissione. Questa va a cercare il capo del partito sconfitto che stava davanti alla televisione a guardare i programmi politici e se la godeva un mondo.
"Amico", dissero, "guarda come siamo conciati: prima ci mungevano con le tasse perché dovevano costruire, ora ci mungono per mantenere a galla ció ch'é stato costruito. Confessiamo l'errore, facciamo atto di resipiscenza e ti nominiamo Presidente a vita."
"Ah, molte grazie, ma io mi trovo bene come sto!."
"Mettiti una mano sul cuore e accetta."
"Matto se lo facessi! Peró se volete un consiglio ve lo do: andate dal Sultano e chiedetegli scusa. "
Gli elettori seguirono il consiglio e il Sultano ne approfittá subito: tornó, mandó a spasso presidente e ministri, vendette le aziende che poteva vendere e diede fuoco alle altre. Poi appiccicó un cartello sulla porta del Congresso:
"Qui non si rosica se non si risica. Chi non fa i suoi interessi va in rovina o ce lo mando io. Chi si vuole sdraiare ad aspettare che i fichi gli cadano in bocca, padronissimo. Ma non si lagni delle sorprese."

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