CAPUANA LUIGI

Title:REGINOTTA (LA)
Subject:ITALIAN MISCELLANEOUS WRITINGS Scarica il testo


Luigi Capuana




LA REGINOTTA



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A Carluccio Ottino

I patti erano questi:
io dovevo scrivere una bella fiaba, dicevi; tu dovevi stamparla, in una magnifica edizione, coi quattrini delle tue strenne.
Povero editorino mio! Hai tribolato un anno, come gli editori grandi, per aver in mano il manoscritto.
Mi ero incaponito a volerti regalare una fiaba proprio nuova di zecca, e non ci riuscivo. C'è voluto un anno per persuadermi che le fiabe, pari ai poemi e alle tragedie, non è possibile rifarle. Perciò ho tentato, alla meglio, di ricorrere alla memoria.
Quand'ero bimbo, nelle giornatacce d'inverno, la Mamma mandava a chiamare in casa nostra la moglie d'un ciabattino famosa per raccontar fiabe. Son tornato addietro, a quegli anni, a quelle giornatacce d'inverno, quando ci stringevamo tutti, fratellini e sorelline, attorno il gran braciere di rame rosso che il babbo, buon'anima! si teneva fra le gambe; e, intanto che la zia Angiola, filando in piedi, raccontava, senza mai stancarsi, le sue storie meravigliose, stavamo cheti come l'olio, a bocca aperta, incantati per ore ed ore.
È una di quelle questa qui che io ti ripeto, ahimè non così bene come la zia Angiola la raccontava!
In ogni modo, ecco adempita la mia promessa: meglio tardi che mai. Adempisci ora tu, per la tua facile parte d'editorino di nove anni.
Tante cose alla tua buona Mamma e al tuo Babbo, e un bacio per te del Tuo aff.mo Luigi Capuana

Milano, 16 novembre 1881

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Avvertenza. Ho usato i vocaboli Reuccio e Reginotta secondo il significato che essi hanno nel dialetto siciliano e unicamente nel linguaggio delle fiabe, cioè invece di principe reale e di principessa reale. Reuccio trovasi nelle lettere del Sassetti per Re di piccola potenza.

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C'era una volta un Re e una Regina che avevano una figliuola più bella della luna e del sole.
Un giorno, dopo il pranzo, il Re disse alla Regina:
- Maestà, guardate qui, tra i capelli. Sento qualche cosa che mi morde.
La Regina osservò, scostando i capelli colle dita, e trovò un pidocchio che era uno stupore. Stava per ischiacciarlo.
- No - disse il Re. - Proviamo d'allevarlo.
E misero il pidocchio in uno scatolino piccino piccino.
Gli davan da mangiare ogni giorno, e quello cresceva e ingrassava. Presto dovettero levarlo via di lì perché non ci capiva più, così grosso s'era fatto. Il Re, curioso di vedere fin dove sarebbe arrivato, lo trattava bene, e insieme alla Regina, andava tutti i giorni ad osservarlo in quella stanza del palazzo reale dove lo tenevano nascosto. Il pidocchio cresceva, cresceva. Furon costretti a levarlo via anche da quell'altro scatolino; era più grosso d'un pugno: si stentava a riconoscere che fosse un pidocchio. Insomma, cresci, cresci, diventò quanto una gallina e poteva appena muoversi, dalla gran ciccia che avea addosso.
Allora il Re lo ammazzò, lo scorticò e ne conciò la pelle. E fece un bando:
- Chi indovina che pelle di animale sia questa, avrà la Reginotta mia figliuola in isposa. Chi non sa indovinarlo, gli si taglia la testa.
La Reginotta era angustiata.
- Che marito le sarebbe toccato in sorte?
E piangeva. Ma il Re voleva così e bisognava ubbidire!
Accorsero parecchie persone da tutti i punti del regno. Chi disse la pelle essere d'un animale, chi d'un altro; ed ebbero, senza misericordia, tagliate le teste.
Si provarono altri. L'idea di sposar la Reginotta era una gran tentazione, e pareva cosa facile il conoscere una pelle d'animale. Però, quand'erano lì, rimanevano. E il Re, senza misericordia, gli faceva tagliare le teste.
Finalmente, ecco un bel giovane.
- Peccato! Verrà fatta la festa anche a lui!
Tutti ne aveano compassione vedendolo così giovane e così bello. Perfino il Re gli disse di pensarci due volte prima d'esporsi al cimento. Ma quegli, ostinato, entrava nella sala dov'era esposta la pelle.
- È pelle di pidocchio!
- Bravo! - gli disse il Re. - Tu sposerai la Reginotta.
L'abbracciò, lo ritenne a pranzo e ordinò feste per tutto il regno.
La Reginotta era contenta. Lo sposo, giovane e bello, pareva anche d'alto lignaggio.
- Chi sei? - gli domandò il Re a tavola.
- Son carne battezzata e ho sangue reale nelle vene.
- E dov'è il tuo paese?
- Il mio paese? È lontano, lontano. Per andarvi ci si mette un anno, un mese e un giorno, e chi ci arriva non fa più ritorno.
La Reginotta sgomentossi.
Il Re e la Regina piangevano, pensando che la loro figliuola doveva vivere in quel paese lontano, lontano, che per andarvi ci si metteva un anno, un mese e un giorno, e chi ci arriva non fa più ritorno. Ma parola di Re non va indietro.
E fatte le nozze, la Reginotta e il bel giovane, con un gran seguito, si misero in viaggio. Centinaia di carri e di cavalli portavano la dote di lei, tutta in gioie e quattrini, e il corredo e i magnifici regali ricevuti dal Re e dalla Regina.
Cammina, cammina, cammina, non arrivavano mai!
- Dov'è il tuo paese?
- Dietro quelle montagne.
Oltrepassaron le montagne e non s'arrivava ancora!
- Dov'è il tuo paese?
- Più in là di quelle foreste.
Oltrepassaron le foreste e non s'arrivava ancora!
- Dov'è il tuo paese?
- In fondo a quella pianura.
Traversarono la pianura e non si arrivava ancora!
La Reginotta intanto non si dava pace. Pensava al babbo e alla mamma che non avrebbe più riveduti.
Quel paese, così lontano lontano che non ci s'arrivava mai, le metteva un grande sgomento.
- Vuoi tu fare in fretta? - le disse lo sposo.
- Sì.
- Ti prenderò in collo e vedrai.
E la Reginotta lo lasciò fare. E non gli si è attaccata al collo colle braccia, che il bel giovane si trasforma in un Orco, alto, grosso, peloso, dagli occhi di brace, con certe zanne e certe granfie!...
- Ah, Vergine santa! Ah, mamma mia!
La Reginotta avea chiuso gli occhi, si sentiva come portar via da un vento furioso.
L'Orco, nella sua corsa, faceva rintronar le vallate e le montagne:
- Auhiii! Auhiii!
Pareva un terremoto dovunque passasse, pareva un tempesta.

Quando la Reginotta aperse gli occhi, capì che era già arrivata nel castello dell'Orco suo sposo.
Si sentì stringere il cuore.
Il castello era tutto circondato da mura così alte che si vedeva a mala pena un po' di cielo. Stanzoni freddi e bui; catenacci dappertutto; dappertutto ceffi di guardie che avrebbero messo spavento anche al più coraggioso del mondo.
- Che fare? Bisognava rassegnarsi!
L'Orco le usava grandi riguardi. La mattina andava via per la caccia e tornava la sera carico di preda. La Reginotta riconosceva quell'alito a dieci miglia di distanza. La preda consisteva sempre in poveri cristiani, parte uccisi, parte vivi, che l'Orco poi divorava mezzo crudi, uno a colazione, uno a pranzo, uno a cena. Per la Reginotta invece portava pietanze squisite, pasticcini, torte, dolciumi di ogni sorta.
- Mangia! Hai paura?
- No.
- Mangia dunque!
- Non ho appetito.
- Mangia!!...
E bisognava mangiare, perché l'Orco s'offendeva del rifiuto e digrignava i denti.
- Bevi! Hai paura?
- No.
- Bevi dunque!
- Non ho sete.
- Bevi!!...
E bisognava bere, perché l'Orco s'offendeva del rifiuto e digrignava i denti.
Ma torniamo al Re e alla Regina.
Un giorno, dopo che il vincitore e la Reginotta eran partiti, arrivò un giovinetto: voleva, anche lui, tentar la prova della pelle.
- Troppo tardi, bel giovinetto! La prova fu vinta.
- E da chi, Sacra Maestà?
- Da uno che abita un paese così lontano, che per andarci ci si mette un anno, un mese e un giorno, e chi ci arriva non fa più ritorno.
- È un Orco! Ahimè, la Reginotta è alle mani d'un Orco!
Figuriamoci il dolore del Re, della Regina e di tutta la corte a questa brutta notizia!
Il giovinetto andò via lamentandosi che la sua cattiva sorte lo avesse fatto arrivare troppo tardi. Era innamorato della Reginotta soltanto perché gli avevano detto che era più bella della luna e del sole; ed ora, pensando che lei si trovava alle mani di quella bestiaccia, provava un dolore di morte.
E camminava, senza saper dove andasse: i suoi occhi parevano due fontane.
Giunto in una pianura, stanco del cammino fatto, si sedette sopra un sasso, continuando a rammaricarsi.
Passava una vecchia con un fastello di legna sulle spalle.
- Che hai bel giovinetto?
- Che volete che abbia, vecchiarella mia?
E narrò il tristo caso della Reginotta e dell'Orco.
La vecchia non rispose nulla e riprese il cammino col suo fastello sulle spalle.
- Voi siete stanca, povera donna - disse il giovinetto. - Date a me cotesto fastello. Faremo strada insieme.
- Grazie, figliuolo!
Il giovinetto si caricò il fastello e riprese la via insieme alla vecchia. Quel fastello era pesante.
- Nonna, la vostra abitazione è molto lontana di qui?
- Un albero che balla e un uccellin che parla; appena gli avremo incontrati e saremo giunti a casa mia.
Il fastello aumentava di peso. Il giovinetto ...